Guerra civile in Libia. Lo scontro tra il Presidente Sarraj e il generale Haftar per il controllo della Libia si avvia a far scoppiare "l‘arma atomica" dei migranti verso l‘Europa. Già alcuni mesi fa, da Tripoli, Sarraj aveva minacciato lo sbarco nelle nostre coste di ottocentomila migranti, attualmente stanziati nel paese nordafricano.
La situazione si è resa ancor più minacciosa dopo il bombardamento del centro di accoglienza di Tajoura, che ha causato la morte di 53 ricoverati e il ferimento di altri 130. Il coinvolgimento di Haftar, nell’operazione, non è stato ancora provato.
A ciò si aggiungono altri rifugiati morti di fame e sete, rinvenuti nei giorni scorsi in un’altra struttura libica.
Fatto sta che Sarraj ha dichiarato che, difficilmente, in queste condizioni, potrà garantire l’assistenza dei rifugiati nei suoi centri di accoglienza, come si era impegnato negli accordi con l’Italia. Se aprisse le porte dei suoi centri, migliaia di rifugiati si rivolgerebbero agli scafisti per raggiungere l’Italia e l’Europa in condizioni precarie. Con tutte le conseguenze per la gestione di un fenomeno che si accrescerebbe in maniera esponenziale.
Mentre prosegue la guerra civile, in Libia operano almeno 24 centri di accoglienza
A Tripoli sono attualmente presenti sei centri di accoglienza, più altri cinque immediatamente al di fuori dell'abitato.
Altri quattro sono sulla costa a ovest della capitale e uno a Sirte. Tutti sotto il controllo del governo di Tripoli con il quale l’Italia ha stretto accordi. In Cirenaica, controllati da Haftar vi sono altri otto centri. Anche il governo locale, se si presentasse l’occasione, ha dichiarato di essere pronto ad agire per l’uscita dei migranti ivi presenti.
Si stima che nei 24 centri citati siano attualmente ospitati alcune decine di migliaia di profughi. Ma l’apertura dei centri provocherebbe una reazione a catena sino a generare ulteriore caos. Anche altre decine, se non centinaia di migliaia di migranti, attualmente stanziati nelle retrovie, al di fuori dai centri, si riverserebbero nelle coste.
Di qui, sui barconi e poi verso l'Italia. Insomma, i nodi di una situazione già incandescente per la gestione del problema stanno venendo al pettine.
Da quanto si è detto, la rilevanza mediatica che si sta dando alle poche decine di migranti salvati in questi giorni dalle ong è obiettivamente eccessiva. Essi rappresentano una goccia nell‘oceano, prima dell‘arrivo dello tsunami. La soluzione della crisi non può essere che Politica. Per ottenerla, l’Italia deve rivolgersi ai propri alleati, a cominciare dai partners europei e quelli della Nato.
La guerra civile ha messo in luce le differenze tra le province di un enorme territorio che è sempre stato diviso
La linea perseguita dall’Onu, sinora, è stata quella di chiedere al generale Haftar di riconoscere il governo di Tripoli, che occupa il seggio libico al Palazzo di vetro.
I fatti dimostrano che tale linea è sbagliata. Così come i tentativi compiuti in ordine sparso da Italia e Francia per mettere i due contendenti allo stesso tavolo e discutere sul cessate il fuoco. Nel frattempo il problema delle migrazioni rischia di traboccare dal vaso della guerra civile.
L’Italia, che è geograficamente più esposta al fenomeno non può più rimandare una soluzione diplomatica della crisi. Ma non può farla da sola. Deve perciò ottenere il supporto di tutta l’Unione europea, degli Stati Uniti e, necessariamente, della Russia di Putin, in base a un piano che si regga da solo. A nostro parere, l’unica soluzione è quella di tracciare una riga che separi Tripolitania e Cirenaica dando ad entrambi i contendenti la piena sovranità e il riconoscimento internazionale sul territorio da loro controllato.
Non è più rimandabile una soluzione complessiva del problema della guerra civile in Libia
Tripolitania e Cirenaica sono sempre state due entità separate. Quando l‘Italia occupò il paese nordafricano, nel 1912, erano due province autonome dell’Impero Ottomano. Volerle unificare è stata, forse, uno degli errori della nostra politica coloniale. Oggi, sembra impossibile continuare a parlare di una Nazione unica. Il generale Haftar non consegnerà mai la Cirenaica al suo avversario, come vorrebbero le Nazioni Unite, con tutti gli interessi petroliferi in gioco.
Chiaramente, il piano di pace va accompagnato da un progetto economico di ricostruzione e di gestione del fenomeno migrazioni in loco. Il primo potrebbe rendere ancor più appetibile ai contendenti la rinuncia a combattersi tra loro.
Il secondo renderebbe fattibile lo slogan, troppe volte abusato e mai concretizzato: “aiutiamo i profughi a casa loro”. Di certo, siamo giunti a un punto per il quale qualsiasi tentativo di soluzione non è più rimandabile.