Tutti ne parlano e in molti la condannano, eppure Squid Game potrebbe nascondere un messaggio tutt'altro che diseducativo, a patto che a vederla siano persone con gli strumenti necessari per capirla e metabolizzarla.

Squid Game parla di tutto, tranne che di un gioco

La Serie TV Squid Game è, al momento, la più vista su Netflix Italia e, forse, la ragione non è da ricercarsi per forza (come spesso succede nel caso di serie televisive di questo genere) nella superficialità e nel bisogno di violenza di questa società.

Quella che al primo impatto sembra essere una banale e pretenziosa rappresentazione della perdizione umana, alla fine si rivela essere un grande bacino di spunti di riflessione decisamente più profondi di quanto si possa essere disposti a credere: Squid Game non parla di un gioco, non parla nemmeno di follia, Squid Game parla, metaforicamente, di una realtà fin troppo vicina ad ognuno di noi.

I messaggi significativi di una serie televisiva psicologica travestita da splatter

La sfera, quella che si riempie del denaro che andrà a rappresentare il montepremi finale, è a forma di maiale. Ho chiesto personalmente ad amici e conoscenti se lo avessero notato e la risposta "Sì" è stata la meno quotata.

Eppure è evidente, eppure è importante. E non si ferma qui, l'importanza illustrativa di quel globo luminoso pieno di denaro. Il contenitore che va man mano riempiendosi di soldi alla morte dei giocatori, è in alto, al centro della grande sala in cui i giocatori dormono e si svegliano, ritornano dopo ogni gioco. é in alto e brilla, luminoso, come un sole falsamente vitale; come un astro intorno al quale orbitare: un globo di plastica, pieno di carta valuta che aumenta in maniera direttamente proporzionale alla morte delle persone, a forma di faccia di maiale, che emana una luce fioca. Questo è il dio al quale i giocatori rivolgono il loro sguardo. Tanto basterebbe o sarebbe bastato a rendere questa serie pregna di significato, ma non si ferma qui.

Gli spunti di riflessione, amaramente realistici, che questa serie tv lascia nella mente e sul palato, sono moltissimi e, forse, qualcosa di positivo si muove e si snoda attraverso gli episodi. La presa di coscienza, ad esempio. Qualcosa che in troppi aneliamo, in molti pensiamo di avere raggiunto, ma che davvero poche volte stringiamo tra le mani. Una presa di coscienza che arriva, minuto dopo minuto, attraverso piccoli ma grandi cambiamenti dei giocatori. Il momento in cui, ad esempio, alcuni di loro rifiutano di essere numeri ed iniziano a chiamarsi per nome, a confidarsi le proprie vite, le proprie paure. Oppure la domanda, semplice eppure vitale, che un concorrente pone a una guardia alla fine di un gioco ridicolo e mortale: "Perché ad alcune persone è stata data una forma semplice da ritagliare e ad altri difficile?", e lo chiede disperato, dopo aver perso la sua occasione, la sua partita, la sua stessa vita.

Non è, questa, la domanda che tutti noi ci siamo posti, una volta o l'altra, nelle nostre esistenze? "Perché per alcuni è facile e per altri no?".

Può avere un messaggio educativo? Senza ombra di dubbio, sì. Ma sono necessari dei filtri

Nessuno può conoscere le reali motivazioni degli autori della storia, ma quando una forma d'arte viene data al mondo è compito di quest'ultimo darle un senso e una posizione. Dal punto di vista di chi scrive, la posizione di questa serie è senza dubbio nello scaffale delle esperienze educative e significative. Questo non significa che tutti possano vederla, probabilmente non è solamente una questione di età, ma di strumenti. Sono pronta a scommettere che molti l'avranno guardata ridendo, altri coprendosi gli occhi ai primi schizzi di sangue...

alcuni, invece, commovendosi e ragionandoci su. Spetta a questi ultimi, farne tesoro. Spetta sempre a questi ultimi, far tesoro di ogni cosa e provare a tradurla. Spetta a questi ultimi provare a spiegare se è più immorale ingannare un anziano durante una questione di vita o di morte, oppure cedere al "pericolo" che l'onestà nasconde e (per questo è la più nobile delle virtù) perdere la propria vita e non fare ritorno a casa. Ma spetta a questi ultimi anche fare i conti con il fatto che, tra quei giocatori, non esisteva nessuna persona onesta... oppure sì. Spetta sempre a quegli ultimi comprendere le due facce della stessa medaglia che i due finalisti rappresentano; spetta a loro provare a discernere le motivazioni di ogni partecipante.

Probabilmente, Squid Game lascia più domande che risposte. O forse di risposte ne lascia tante, ma di quelle amare, scomode, viscide, che non si riesce a pronunciare se non al buio, in una stanza vuota, mentre nessun altro ascolta. Una cosa è certa, tenete lontani i bambini da questa serie, loro hanno tutto il diritto di credere che il mondo sia composto da persone che non venerano un sole freddo, un dio di plastica a forma di maiale che contiene solo carta dal valore scandaloso che soltanto i soldi possono avere; hanno bisogno di credere che gli adulti facciano sempre le cose giuste, senza calpestare nessuno per arrivare in alto... e che a "un, due, tre, stella!", se si perde, si ride e basta.

Hanno soprattutto bisogno di rispondere "Sì!" alla domanda che l'insospettabile organizzatore del gioco pone a Seong Gi-hun : "Dimmi, ti fidi ancora delle persone?". Se Squid Game ci insegna qualcosa, se davvero deve farlo una serie televisiva, allora è fare in modo che questo mondo non somigli mai a quel dedalo di scale colorate e fastidiose che porta a un campo da gioco dove, se perdi, muori.