Il 9 novembre 2016 negli Stati Uniti oltre alle votazioni per eleggere il nuovo presidente, si è votato (in Nebraska, Oklahoma e California) sulla questione della pena di morte. In Nebraska circa il 57% degli elettori ha votato in favore del ripristino della pena capitale, dato che era stata abolita nel maggio 2015. Nell'Oklahoma, invece, circa il 67% degli elettori ha votato per inserire la pena capitale nella propria costituzione. Questo significa che non si potrà più fare riferimento all'ottavo emendamento della costituzione americana che prevede il divieto di punizioni crudeli e inusuali.
In California i quesiti erano due: la proposta 62 per abolire la pena di morte e la proposta 66 che, al contrario, prevedeva di accelerare i tempi di esecuzione della stessa. Gli elettori hanno manifestato la preferenza per la seconda proposta. Negli Stati Uniti si era passati dalle 98 esecuzioni del 1999 alle 28 del 2015. Ovviamente il trend resta positivo per il momento, ma questi tre risultati infondono preoccupazione poiché potrebbero avere ricadute nel resto del mondo. A questo proposito, quali sono i dati attuali sulla questione delicata della pena di morte nel mondo?
Per rispondere alla domanda possiamo fare riferimento al rapporto del 3 agosto 2016 di "Nessuno tocchi Caino", un'associazione senza fine di lucro di cittadini e parlamentari nata a Bruxelles nel 1993 che lotta per l'abolizione della pena di morte nel mondo.
Secondo questo rapporto, nei primi mesi del 2016 ci sono state già 1,685 esecuzioni, avvenute in 17 paesi diversi. Erano state 3,576 nel corso del 2014 e 4,040 nel corso del 2015. Attualmente il paese che detiene il numero maggiore di esecuzione nel 2016 è la Cina che è già arrivata a quota 1,200. Ci sono poi Iran e Arabia Saudita con rispettivamente 209 e 95 esecuzioni in questo primo semestre.
I paesi che tutt'ora mantengono la pena di morte nel proprio ordinamento sono 38, uno in più rispetto al 2015. Sono invece 104 i paesi che hanno abolito totalmente la pena capitale, 6 quelli che l'hanno abolita per i reati minori, 6 quelli che applicano la moratoria e 44 quelli che che hanno abolito di fatto la pena di morte dato che non la eseguono da più di 10 anni.
Dal rapporto emerge come il 98% delle esecuzioni sia avvenuto nel continente asiatico e pone l'accento sul fatto che nella stragrande maggioranza dei paesi che la attuano, sono in vigore regimi autoritari o vere e proprie dittature. Questo è un collegamento piuttosto ovvio da fare, visto che in tali regimi i diritti fondamentali tendono ad essere messi in disparte.
Ecco perché sorge spontanea la preoccupazione per le recenti dichiarazioni di Erdoğan sul fatto che in Turchia potrebbero essere riprese le esecuzioni in un futuro molto vicino. In Europa vi è la sola Bielorussia ad aver la pena di morte ancora attiva (con l'eccezione della Russia che è uno dei paesi con moratoria). Accogliere un paese che ha il progetto di reintrodurre le esecuzioni capitali può portare conseguenze piuttosto pesanti in un continente che sulla materia ha fatto passi avanti nel corso degli anni.
Altro dato interessante è quello che collega esecuzioni a lotta al terrorismo e al narcotraffico. Finora sono state 100 le esecuzioni per il primo reato e 731 quelle per il secondo. Quest'ultimo dato è sintomo della politica feroce e persecutoria attuata da Teheran nella lotta contro il traffico di stupefacenti; una politica che per adesso non ha sortito gli effetti sperati.
Quale conclusione possiamo trarre? Non ci si può schierare da una parte o dall'altra semplicemente accodandosi al pensiero di qualcun'altro. E' necessario documentarsi e avere con sé le risorse e le giuste spiegazioni per poter argomentare la propria scelta. Tuttavia, è sicuramente più naturale schierarsi a favore della difesa dei diritti fondamentali dell'uomo, anche perché le politiche di esecuzioni capitali non hanno fornito dati sull'utilità effettiva di quest'ultime nella lotta alla criminalità.