Pare si sia conclusa la travagliata 'mini-stagione' che ha portato diversi esponenti del Partito Democratico a fondare un nuovo partito, anzi pardon Movimento, i Democratici e Progressisti. In pratica PD al contrario. Dalle apocalittiche minacce di spaccare in due il partito che regge il governo da quasi sette anni, si è passati alla piccola scissione di un gruppo che i più recenti sondaggi non danno oltre al 5%.

I perché della scissione

Se si volesse semplificare, si è assistito alla fuoriuscita di quel gruppo dirigente che in tempi recenti aveva in mano la guida dei democratici e che si è visto scalzare dal ruolo da Matteo Renzi e dal suo giglio magico.

In tutto questo, è passato in onda tutto il meglio (o il peggio, a seconda dei punti di vista) che la politica italiana di questi tempi riesce ad offrire: dalla acrobatiche capovolte di Emiliano, che da conductator degli scissionisti è diventato semplice competitor di Matteo Renzi, decidendo di rimanere all'interno del Pd, passando dalla guerra intestina ai dem, condotta principalmente “per procura” da Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani, attraverso Rossi e Speranza.

Quello che rimane dalla convulsa situazione generatasi all'interno del Pd all'indomani della batosta referendaria, sono due gruppi politici che, almeno apparentemente, puntano a conquistare bacini elettorali diversi. Il Pd, probabilmente ancora a guida renziana anche dopo le primarie che si terranno il prossimo aprile, che punterà sia all'elettorato storico dei democratici, ma anche alla larga fetta centrista, mentre i Dp ambiranno a conquistare la parte dell'elettorato di sinistra delusa dalle politiche neo-liberiste di Renzi, magari alleandosi con il microcosmo della sinistra extra-pd già esistente come Sinistra Italiana e il gruppo guidato da Pisapia.

Perché il Pd si è diviso

Sono diverse le chiavi di lettura che possono essere richiamate per spiegare la convulsa dinamica attraversata dai dem. Tra queste ce n'è una, di certo maliziosa, che serpeggia nelle stanze della politica, che riuscirebbe a dare una spiegazione soddisfacente alla spaccatura tra Renzi e D'Alema-Bersani.

Si immagini che la scissione del Partito Democratico altro non sia che una sceneggiata politica, volta a contrastare l’inarrestabile ascesa del Movimento 5Stelle.

È indubbio, infatti, che con le elezioni politiche alle porte i timori di un boom elettorale dei grillini turbino i sogni dei leader democratici. Ebbene, in uno scenario del genere la divisione interna al Pd potrebbe essere scaturita dalla necessità di portare avanti due diverse campagne elettorali: il democratici di Renzi punterebbero all’elettorato moderato e centrista, mentre i transfughi – Bersani e D’Alema in primis – tenterebbero l’assalto all’ampia fetta di elettorato di sinistra deluso dalle politiche neo-liberiste che hanno contraddistinto gli ultimi anni del Pd renziano.

Questa ultima parte di elettorato, infatti, è molto cospicua e attualmente può collocarsi nella fascia di disillusi che non voteranno alle prossime elezioni. In questo senso, quindi, un loro eventuale apporto potrebbe tornare decisivo per formare i numeri di un governo la cui composizione risulterà senz’altro fatta con numeri risicati, stante l’estrema frammentazione del corpo elettorale.

In questo scenario, fantapolitico ma non troppo, la dirigenza democratica potrebbe lottare su due diversi fronti elettorali, per poi magari ricongiungersi in occasione della formazione del governo, al fine di trovare formule di “unità nazionale”, in pieno stile Monti e Letta. Un vero e proprio gioco delle tre carte, come ultima spiaggia per contrastare sia l’emorragia di voti che oramai attanaglia quasi tutte le formazioni politiche tradizionali, sia l’inarrestabile (stando agli ultimi sondaggi) ascesa del Movimento 5Stelle nelle intenzioni politiche degli italiani.