Dopo le partecipazioni degli scorsi anni, anche a questa edizione del 2018 del Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini è intervenuto Fausto Bertinotti, già Presidente della Camera e storico leader di Rifondazione Comunista. Lo ha fatto parlando all'interno del dibattito dal titolo "68 e oltre. Giustizia e libertà sembravano a portata di mano". Vediamo le parti salienti di ciò che ha detto.
Fausto Bertinotti parla di '68 al Meeting di Comunione e Liberazione
Bertinotti ha esordito dicendo: "Nel '68 facevo il sindacalista a Novara, dentro la Fiot (Federazione italiana operai tessili). Quell'anno fu l'imprevisto e l'eccezione: il tempo in cui la speranza si consolida e tutto diventa possibile. Mentre il tempo ordinario è anche quello presente, fatto di miserie e della fatica che comporta il credere che la storia possa riprendere con parole di uguaglianza (...) Quando la notte si fa buia devi aspettarti che l'alba si possa avvicinare, come non lo sai: con l'imprevisto".
L'ex terza carica dello Stato ha poi proseguito soffermandosi sul tema della violenza nella Politica del '68: "Ci sono tre violenze: c'è quella di una cultura borghese, la quale pensa che ognuno debba vivere nella classe sociale in cui è nato (tanto che fa scandalo che il figlio di un operaio possa diventare dottore).
C'è poi la violenza di Stato, che definirei di classe: nel '68 ci fu l'ultimo bracciante ucciso dalla polizia. C'è infine la violenza nel Movimento, la quale però pur deprecabile non è generatrice del terrorismo. Il terrorismo infatti e tutta un'altra storia: esso è una violenza che nasce da una costruzione ideologica di un nucleo di persone che si sente portatore di un destino da realizzare con qualunque mezzo. E' ciò che oggi conosciamo come espressioni di altre manifestazioni religiose: è fondamentalismo che ascrive a sé la possibilità di decidere ciò che è bene e ciò che è male, soprattutto con la violenza. Mentre quello che accadde nel Movimento del '68 non prevede l'uso di armi. Anche la celebre canzone "Contessa" di Pietrangeli" era un'evocazione, solo metaforica, di un odio di classe che si produce con una forma distruttiva contro le ingiustizie e le violenze altrui".
'Le sconfitte delle conquiste del '68 hanno portato all'Italia incivile di oggi; non violenza è anticorpo contro il potere'
Poi ha continuato: "Il '68 è uno e mille: quello italiano è diverso da quello francese o da quello tedesco, così come quello a Roma era diverso da quello a Trento o a Torino. (...) L'unica vera istituzione politica figlia del '68 è il sindacato dei delegati e dei consigli: una costruzione senza precedenti e purtroppo senza eredi, che tende a realizzare una nuova forma di democrazia. Oggi litighiamo su democrazia diretta e democrazia rappresentativa in assenza di tutte e due, purtroppo. (...) La traccia del '68 in Italia, tranne frange minoritarie, non è stata certo la violenza ma le grandi conquiste.
Quel '68 è erede in parte della tradizione di Don Milani, come quella di Di Vittorio, ovvero delle grandi tradizioni delle culture politiche italiane, oggi abbattute, che entrarono a far massa critica. La speranza si tradusse nella conquista dello Statuto dei diritti dei lavoratori, del diritto alla pensione e del servizio sanitario nazionale. Il '68 italiano non è solo un sogno ma un processo che dura dieci anni e sulla cui sconfitta, anche per responsabilità interne, è stata costruita la grande rivincita che ci porta all'Italia incivile dei nostri giorni. La speranza del '68 è stata oggi rovesciata: ora c'è il furto di speranza che questo capitalismo finanziario produce sulle nuove generazioni provando a rubare loro il futuro (...) Pur essendo io contrario a tutte le violenze avevo per qualche tempo pensato che ce ne fosse una compatibile: quella contro un potere violento che opprime le masse.
Ma nella mia lunga vita sono arrivato alla conclusione che non c'è nessuna violenza ammissibile: l'unica possibile risorsa per coloro che devono liberarsi da un'oppressione è la scelta radicale della non violenza come prassi liberatoria; altrimenti quella violenza divorerà anche te, perché avrai legittimato il potere a usarla contro di te. La non violenza è un anticorpo contro il potere, anche quando si immagina un'altro mondo possibile".
Successivamente Bertinotti ha proseguito: "Alcuni nel '68 pensavano che libertà e uguaglianza stanno insieme, altri pensavano invece che dovesse prevalere solo la libertà. La prima componente ha perso. La nostra generazione ha perso, quindi se smettiamo di dare consigli facciamo un'opera di bene visto l'esito della nostra battaglia.
Cosa resta? La testimonianza e la speranza. Resta il sindacato, non visto come le organizzazioni esistenti, ma come idea di condivisione e il luogo in cui ti metti insieme per costruire il futuro. Mi resta l'idea di essere 'compagno', cioè dividere il pane con gli uomini e le donne che pensano a un altro mondo possibile".
Bertinotti: 'I rapporti sociali di oggi mettono in discussione la civiltà; il perdono è essenziale'
Infine Bertinotti ha detto: "Siamo sicuri di poter parlare di 'onnipotenza' dell'uomo quando siamo di fronte alla crescita dell'intelligenza artificiale e della robotizzazione, dentro a un capitalismo finanziario che considera l'uomo una merce e lo vuol far diventare la protesi di una macchina?
Oppure forse dentro a questo progresso siamo ancora più nudi? Quel ponte che cade ci dice, fra le mille cose, della presunzione della tecnica pensa di essere invincibile e poi si accorge magari decenni dopo di essere fragilissima. Oggi l'uomo mi pare più debole di fronte alla minaccia che incombe su di lui. Siamo di fronte a rapporti sociali che mettono in discussione la civiltà: non riesco a non vergognarmi per la responsabilità (piccola ma personale che porto) in un Paese in cui uno di un altro colore può essere ucciso mentre raccoglie pomodori: questo è il mondo a cui ci affacciamo. Non possiamo non vedere la tragedia che incombe su questa umanità e combattere contro essa è necessario, quali che siano le tragedie indotte dalle rivoluzioni passate: non possiamo acquietarci dello stato di cose presenti (...) Persino io, che vengo da un'altra storia, considero il perdono un'istanza liberatoria per vivere il mondo e il futuro, esso è imprescindibile per me che ho pensato alla trasformazione della società.
In particolare nell'intollerabile temperie culturale di oggi, in cui chiunque ti può essere indicato come nemico e la sua sopraffazione ti viene proposta perché tu possa sopravvivere. In questo mondo che richiede la lotta io credo che il perdono sia una parte essenziale dello sguardo sull'altro".