Sono trascorsi 60 anni dall'entrata in vigore della Legge Merlin. La legge del 20 febbraio 1958, che prende il nome dalla senatrice socialista Angelina Merlin, ha fatto chiudere le case chiuse e ha introdotto il reato di sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento e induzione.
Entrata in vigore dopo 10 anni estenuanti fatti di rinvii e slittamenti, il testo di legge sposava la richiesta di modernità e cambiamento in termini di costume sessuale.
Istituiti nel 1860 con il Regolamento Cavour, inizialmente destinato alle guarnigioni militari e poi ad uso civile, i bordelli sono stati lo specchio di una società che voleva controllare e sorvegliare, con isteria e senso di ordine spasmodico, i corpi femminili delle prostitute.
Quest'ultime, ultime tra le ultime, erano però tollerate, temute in quanto appartenenti alle classi pericolose, ma necessarie al fabbisogno sessuale dell'uomo italiano, visto che impedivano che fosse danneggiata la buona società.
Il dibattito parlamentare si scatena e diventa molto acceso nel 1949: nonostante la maggioranza parlamentare delle forze politiche, il progetto di legge subisce un fortissimo ostruzionismo, tra rinvii, insabbiamenti che lo faranno slittare alla II Legislatura. Pur godendo di un'ampia maggioranza già nella I legislatura, è solo nel 1958 che la legge viene approvata in via definitiva.
Negli anni del dibattito fortissime sono state le reazioni della stampa: molti giornali parlano di salto nel buio, sostenendo che la chiusura delle case chiuse potesse portare ad un'imminente catastrofe venerea, e non potesse risolvere il problema delle prostitute clandestine (che non lavoravano nelle case).
Annunciata con toni misteriosi e sicuramente poco chiari da Ugo Zatterin al Tg1, la Legge ha scatenato all'epoca e negli anni immediatamente successivi un dibattito molto vivace: in pochi però sembrano aver capito lo spirito della legge.
Gli italiani divisi tra favorevoli e contrari
Molti intellettuali e scrittori dell'epoca scesero in campo a difendere il mito romantico dei casini.
Dino Buzzati, scrittore affermato, giudicò la fine della case chiuse come la distruzione di un "immenso capitale culturale", paragonando Lina Merlin a Erostrato, che secondo la leggenda diede fuoco alla biblioteca d'Alessandria.
Il giornalista Indro Montanelli nel 1956, in un pamphlet intitolato Addio Wanda!, sostiene che la fine dei bordelli "fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia".
Era nelle case chiuse "che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia".
Negli anni '50 un documento molto importante e significativo è quello rappresentato dalle Lettere delle case chiuse: pubblicato da Lina Merlin e Carla Barberis, il volume raccoglie le lettere inviate dalle prostitute alla senatrice veneta. Si leggono storie di sfruttamento, soprusi, violenze: per la prima volta gli italiani riescono a capire l'inferno che si cela all'interno di queste case. Per molte di queste prostitute, la battaglia per la fine delle case chiuse è un segno di giustizia, per altre significa la fine di un lavoro sofferto ma che rappresentava una certezza.
Una lettera del 1949 parla chiaro:
"Ma sempre sono gli altri ad obbligarci a entrare in questi inferni, a ricevere 30-35 uomini al giorno, i vecchi sporcaccioni e i giovani infoiati, e quelli ubriachi, e quelli che gridano, e quelli che vogliono sentir parlare.
Quasi tutta questa gente, che paga per averci, come bestie al mercato. Perché, e per quanto dovremo sopportare questa vergogna?"
Un'altra lettera invece è di tutt'altro avviso, ed esprime la paura per il dopo:
"Chiudete, ma ci date un lavoro sicuro? Ci mettete in condizione di poter vivere onestamente, senza dover lavorare al giorno e alla sera dover andare a dormire col padrone per poter sbarcare il lunario?"
Del salto nel buio per le prostitute e sul problema della prostituzione come sintomo di miseria cerca di parlare il regista Antonio Pietrangeli con il film del 1960 Adua e le sue compagne: proprio all'inizio del film si assiste ad un vero e proprio funerale delle case chiuse, in cui dei giovani portano una corona di fiori, simbolo della fine di un'epoca.
Sempre interessante il lavoro di Pier Paolo Pasolini in Comizi d'Amore del 1965: il regista e scrittore friulano intervista gli italiani sulla tematiche legate e alla sessualità e alla Legge Merlin, e constata la grande confusione degli italiani in materia, ravvisando come, nonostante il miracolo economico, non ci sia allo stesso tempo "un contemporaneo miracolo culturale e spirituale".
I dubbi restano ancora dopo 60 anni
Sessant'anni dopo l'introduzione della Legge Merlin, parte di quell'Italia ricorda con nostalgia i tempi delle case chiuse. Fino ad oggi sono stati numerosi i tentativi di modificare e abolire la legge: sembra di essere davanti a due paesi, quello della "tradizione" e quello della modernità.
La figura della socialista veneta Angelina Merlin è stata a lungo oggetto di insulti e di ingiurie, lei stessa non voleva che il suo nome fosse accostato ad un legge dello stato, una legge di giustizia sociale, come ha ricordato intervistata dal giornalista Enzo Biagi.
Le sue parole pronunciate nel 1949 dai banchi del Senato sono ancora oggi elemento di grande riflessione:
"Non ho la pretesa che la legge da me proposta valga a sanare miracolosamente una piaga che ha i suoi infami riflessi in tutti gli ambienti sociali. La moderna società fondata su una morale più alta, quella del rispetto della dignità umana, deve andare oltre la legge ed i costumi del passato, perché la vita è un continuo trascendersi, porsi dei limiti e superarli".
Oggi, pensando alla sua figura, a cui dobbiamo oltre alla fine della prostituzione di stato anche l'articolo 3 della Costituzione ("senza distinzione di sesso"), ci viene in mente un'altra legge: quella che ha portato alla soppressione definitiva della clausola di nubilato nei contratti di lavoro, che licenziava le lavoratrici che si sposavano (legge del 9 gennaio 1963 n. 7).