Un minore affetto da malformazioni congenite può chiedere il risarcimento per inadempimento contrattuale in luogo della madre, a sua volta non informata, soprattutto in merito alla possibilità di procedere ad un aborto? La questione è stata sollevata con riferimento alla domanda avanzata dai genitori di una bimba down nei confronti del primario, del direttore del Centro analisi e all'Azienda Usl. La domanda non era solo in proprio ma anche in qualità di esercenti la patria potestà. Le Sezioni Unite della Cassazione sono state chiamate a giudicare sulla presente domanda.

L'orientamento dominante, fino ad ora, ha escluso che il minore possa intraprendere la strada dell'inadempimento contrattuale per non essere stato tutelato il diritto alla salute della gestante. La domanda proposta dai ricorrenti, infatti, fu respinta anche in appello, perché nel nostro ordinamento non vige il principio (a tutela del nascituro) a non nascere o a non nascere sano (ad essere tutelata è la continua evoluzione della gravidanza).

Diritto al risarcimento e evoluzioni giurisprudenziali

Nel 2011 e nel 2012 ci sono state delle pronunce che sembrano capovolgere la visuale di opinioni finora praticate e assecondate. La sentenza n. 9700/2011 punta sulla preminenza del principio di autodeterminazione della madre, che manca in caso di omessa e non chiara informazione da parte dei medici, anche sulla base di una negligente lettura dei risultati delle analisi considerate di routine.

Il minore, a seguito dell'evento nascita, può agire per contestare il suo stato di disabilità derivante da malformazioni congenite; queste ultime, se fossero state rese note alla madre, avrebbero potuto determinare l'assenza dell'infermità del figlio, ossia, la non nascita e la conseguente scelta della madre di abortire.

Con la sentenza n.16754/2012, invece, la Cassazione, ha statuito che non può non riconoscersi la legittimazione in capo al minore di chiedere il risarcimento per il danno dal non essere nato sano, senza attribuire una funzione di indicizzazione preminente al carattere congenito o meno della malformazione, bensì basandosi sulla sola maggiore difficoltà a vivere una vita normale, a seguito del compromesso sviluppo della personalità, ampiamente tutelata in siffatte ipotesi.

Nella vicenda, emerge, anche un altro delicato profilo: a chi spetta l'onere della prova della volontà di abortire? La circostanza che la donna effettui determinati esami di diagnostica non comporta una deduzione in merito alla volontà della medesima ad abortire, perché nell'atto materiale di sottoporsi a specifici accertamenti non emergono indizi gravi e univoci in tal senso.