Chad Tidwell, Mathew Ballard, Sam Grover e Benjamin Bitner sono i ricercatori della Duke University School che stanno studiando questo nuova tecnica contro il diabete e la cui particolarità è di essere tutti affetti dalla malattia. In pratica, sono riusciti a capire come riattivare le cellule beta, la distruzione delle quali, ad opera del sistema immunitario, interrompe la produzione di insulina causando il diabete.

Il gene Aurora Kinase

La squadra di ricercatori si sta concentrando in particolar modo su un gene, chiamato Aurora Kinase, la cui caratteristica è quella di ridare alle cellule beta la capacità di moltiplicarsi, oltre ad individuare il glucosio e ricominciare a produrre l'insulina.

Il gene Aurora Kinase, però, non è l'unico con queste capacità e gli studiosi ora sono al lavoro per individuare anche tutti gli altri geni con la capacità di riattivare le cellule beta e la conseguente produzione di insulina, così come quelli che invece ne inibiscono il processo, al fine di agevolare il successivo intervento dei chimici e poter sintetizzare i giusti farmaci per spegnere o accendere i geni in base alla loro utilità o negatività.

Come si cura oggi il diabete di tipo 1

Ad oggi, tralasciando le iniezioni di insulina, l'unico modo per curare il diabete di tipo 1 è il trapianto di parti di pancreas, le cosiddette isole pancreatiche. Il trapianto ridà all'organismo la capacità di tornare a produrre insulina autonomamente e nella giusta quantità.

Come tutti i trapianti, però, presenta diversi effetti collaterali legati all'uso degli immunosoppressori che posso indebolire il sistema immunitario e causare infezioni anche gravi, senza considerare l' elevata domanda non adeguatamente soddisfatta dal numero di donatori. È chiaro, quindi, come il successo di questa ricerca sia fondamentale per poter attuare le giuste terapie e sconfiggere definitivamente una malattia che affligge ben 400 milioni di persone in tutto il mondo.

L'aspetto umano della ricerca

Ad oggi si è rivelata fondamentale la componente umana, grazie alla composizione del gruppo di ricerca che, essendo costituito da ricercatori malati di diabete, ha permesso loro di interagire proprio a livello umano con tutti gli studenti dell'università e soprattutto con quelli diabetici per far comprendere l'importanza di questo studio e l'impegno profuso dall'intero team.