L'adozione della dieta paleolitica ha mostrato un effetto persistente nel ridurre il grasso epatico, ossia nella steatosi epatica non alcolica.

E’ quanto hanno osservato i ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica e di Salute Pubblica dell’Università Umea, in Svezia, al termine di uno studio della durata di 2 anni, condotto su donne obese in menopausa. I dati pubblicati sulla rivista “International Journal of Obesity” nel mese di gennaio 2016, hanno evidenziato, dopo 6 mesi di trattamento, anche un miglioramento dei parametri metabolici in termini di sensibilità all’insulina.

Questi risultati vanno ad aggiungersi a quelli già rilevati, con questo metodo dietetico, sul controllo del glucosio, del profilo lipidico e nel migliorare la sensibilità all’insulina, in pazienti con diabete di tipo 2.

Steatosi epatica non alcolica al giorno d’oggi

E' una delle cause più comuni di malattie epatiche croniche, spesso associata ai componenti della sindrome metabolica: diabete di tipo 2, insulino-resistenza, ipertensione, obesità addominale (viscerale), dislipidemia (ipertrigliceridemia, alti livelli di lipoproteina a bassa densità (LDL). Ha un'incidenza del 20-30% nei paesi sviluppati.

Sono stati adottati sinora molti trattamenti, tra cui la somministrazione di vitamina E ed agenti sensibilizzanti l’insulina, ma i miglioramenti più significativi del fegato grasso, valutati a livello istologico,  sono stati ottenuti, ad oggi, con la perdita di peso.

Generalmente si consiglia di modificare lo stile di vita, seguendo una dieta mediterranea ricca di acidi grassi poli-insaturi omega 3 ed attività fisica moderata aerobica.

Altrettanto valida è la dieta DASH, simile a quella mediterranea; entrambe utilizzate per il trattamento di altri fattori di rischio cardiometabolici come l'insulino-resistenza ed il diabete mellito di tipo 2.

Confronto tra la dieta paleolitica e quella convenzionale

70 donne (sane, obese e in menopausa) sono state suddivise in due gruppi: uno ha ricevuto la dieta paleolitica, l’altro la dieta convenzionale a basso contenuto di grassi; entrambe 'ad libitum', ossia a sazietà.

Il metodo paleo proposto in questo studio è quello del Prof. Loren Cordain dell’Università del Colorado, in base al quale sono stati fatti consumare frutta fresca, verdure, pesce, uova, carne, frutta secca e olio di oliva.

Il fegato grasso è stato misurato con la spettroscopia di risonanza magnetica protonica; una diminuzione del grasso epatico è stata rilevata già dopo 6 mesi in entrambi i gruppi, ma in misura significativamente maggiore nei soggetti trattati con il metodo paleolitico.

Dopo 24 mesi, tuttavia, i risultati delle due diete si sono rivelati equivalenti.

La sensibilità all’insulina, provata con il test orale di tolleranza al glucosio, e misurata con l'indice HOMA (che valuta l'insulino-resistenza), è migliorata solo durante i primi 6 mesi nel gruppo della dieta paleolitica, ma è peggiorata successivamente, senza influenzare l’azione sul fegato grasso.

La dieta paleolitica ha dimostrato, dunque, una superiorità rispetto a quella convenzionale, probabilmente per la presenza di un più alto contenuto di acidi grassi mono e poli-insaturi, componenti del pesce e della frutta secca. Questo tipo di dieta potrebbe, secondo l'ultimo studio clinico decennale, migliorare anche la disfunzione erettile, poichè ricca di frutta e verdura.