58 indicatori misurano la sostenibilità dei sistemi alimentari analizzati, un punteggio che va da 0 a 100 ne indica le performance.
Sono queste le linee guida di sviluppo del food Sustainability Index (indice di sostenibilità alimentare o FSI) che l'unità di business dell'Economist ha elaborato e presentato poco tempo fa. Sono stati analizzati i 20 paesi facenti parte del G20 con l'aggiunta di altri 5 ovvero Nigeria, Etiopia, Colombia, Emirati Arabi Uniti e Israele.
L'indice parte dalla consapevolezza che oggigiorno l'umanità è chiamata ad affrontare tre sfide di importanza vitale:
- Ogni anno si spreca 1/3 della produzione alimentare mondiale. L'ammontare del cibo sprecato corrisponde a quattro volte la quantità necessaria per alimentare tutti coloro che soffrono di malnutrizione;
- Gran parte delle coltivazioni e produzioni alimentari viene impiegata per ricavare biocombustibili, nonostante la presenza di malnutrizione in alcuni paesi;
- Per ogni persona che soffre di sottonutrizione ve ne sono due obese in giro per il mondo.
Come se non bastasse si prevede che nel 2025 la popolazione mondiale sarà pari a 8,1 miliardi e che il 95% della crescita demografica si avrà nei paesi in via di sviluppo.
L'FSI è stato diviso in 3 grandi aree: "agricoltura sostenibile", " sfide nutrizionali" e "perdite e sprechi alimentari".
Nell'area "agricoltura sostenibile" la Germania è al primo posto seguita da Canada e Giappone
I punteggi oscillano dal 65,5% ottenuto dai Tedeschi al 60,6% ottenuto dai Nipponici. L'Italia invece si piazza al 7° posto con un 59,8%. Questi risultati, nella maggior parte dei casi appena sopra il 50%, indicano che è ampiamente migliorabile tutto ciò che riguarda l'utilizzo di acqua per i raccolti, l'utilizzo di fertilizzanti e pesticidi nonché interventi in agricoltura verticale per ridurre lo sfruttamento di suolo. In fondo alla classifica troviamo Egitto, Emirati Arabi Uniti e India.
Un dato allarmante ci è fornito dalla quantità di acqua prelevata per usi agricoli in percentuale con le risorse idriche a disposizione, in cui si va dai 114,9% segnato dall'Egitto fino ai 2208% degli Emirati Arabi Uniti. In parole povere in questi paesi si attinge acqua dall'estero per tentare di coltivare sul territorio nazionale (con scarsissimi risultati).
Francia, Giappone e Corea del sud sono sul podio nell'area "sfide nutrizionali" con ottimi punteggi. L'Italia anche in questo caso è nella top-ten, 8° classificata. In quest'area si guarda all'obesità, alla malnutrizione, alla salubrità e qualità dei prodotti alimentari tipicamente utilizzati dai vari paesi. Un dato allarmante è che dal 1965 ad oggi l'obesità mondiale è passata dal 3,2% per gli uomini e 6,4% per le donne al 10,8% per gli uomini e al 14,9% per le donne.
E ovviamente la percentuale di popolazione sottopeso è scesa di 3 punti per gli uomini e di 4 per le donne. Negli USA, nazione che ha dato i natali alle più grandi catene di fast food al mondo, è obeso 1 uomo su 3 e poco meno di 1 donna su 3. Allo stesso tempo, ci dice l'OMS circa 2 miliardi di persone soffrono di anemia, spesso dovuta a carenze di ferro o alla mancanza di micronutrienti fondamentali per l'organismo nei cibi superlavorati che mangiamo ogni giorno.
L'area di studio "perdite e sprechi alimentari" prende in considerazione lo spreco di cibo pro-capite all'anno, la quantità di metano prodotta dall'immondizia alimentare e il livello di "educazione all'acquisto" dei consumatori. Ancora una volta la Francia è al primo posto seguita da Australia e Sudafrica, mentre l'Italia è solo al 9° posto.
In fondo alla classifica invece troviamo Emirati Arabi Uniti, Indonesia e Arabia Saudita. Analizzando meglio le statistiche troviamo inoltre che il paese con il più alto spreco di cibo è l'Arabia Saudita con 427 kg pro capite l'anno, seguita dall'Indonesia con 300 kg e dagli USA con 277 kg.
Ogni anno vanno perse o sprecate 1,3 miliardi di tonnellate di cibo a livello mondiale, mentre basterebbero solo 325 milioni di tonnellate per sfamare tutte le persone che soffrono la fame.