Ha vinto la sua batteria nei 100 metri farfalla ma il tempo ottenuto è insufficiente per ottenere l'accesso alla finale di categoria. Non vogliamo risultare retorici citando massime di "decoubertiana" memoria ma, davvero, per Yusra Mardini la cosa più importante è partecipare. Presente a Rio de Janeiro sotto la bandiera a Cinque Cerchi che rappresenta la "Nazionale dei rifugiati", sarà nuovamente in vasca il prossimo 10 agosto per le batterie dei 100 stile libero ma ad ogni modo la 18enne siriana ha già vinto la sua gara più importante.

La fuga di Yusra dalla Siria

L'anno scorso Yusra aveva 17 anni ed era considerata una promessa del nuoto siriano. Aveva proseguito la sua attività a Damasco, nonostante la guerra civile, ma la situazione era diventata impossibile da sostenere. Insieme alla sorella Sarah, ad agosto dello scorso anno ha deciso di abbandonare il suo Paese devastato dal lungo conflitto, le due giovani hanno raggiunto il Libano e, successivamente, la Turchia e da lì si sono imbarcate insieme ad altre 18 persone su uno dei gommoni in partenza verso la Grecia. Durante la traversata il motore ha smesso di funzionare e l'imbarcazione ha iniziato ad essere invasa dall'acqua.

Yusra Mardini, la sorella ed altri due migranti in grado di nuotare, dinanzi al rischio di un naufragio si sono tuffati in mare aperto iniziando a spingere il gommone. Un lavoro estenuante andato avanti per circa tre ore, fino alle coste dell'isola di Lesbo, che ha permesso di evitare una tragedia. Le sorelle Mardini si sono poi stabilite in Germania ed il talento di Yusra è stato notato a Berlino da alcuni tecnici che hanno iniziato a seguirla con attenzione. Il suo sogno era quello di partecipare alle Olimpiadi del 2020 con la rappresentativa tedesca ma il progetto della Nazionale dei rifugiati messo in piedi dal CIO in collaborazione con le Nazioni Unite le ha permesso di andare a Rio.

Più forte delle avversità

Le storie di Yusra non è l'unico esempio di straordinario coraggio tra le donne in gara alle Olimpiadi di Rio. Zahra Nemati è iraniana ed ha 31 anni. Era una promessa del taekwondo fino al dicembre del 2003 quando la sua città, Bam, fu devastata da un terremoto che causò più di 25 mila vittime. Tra i feriti gravi del sisma anche la giovane Zahra che da allora è costretta a muoversi su una sedia a rotelle. La sua straordinaria forza gli ha permesso di costruire una nuova carriera sportiva: tre anni dopo ha iniziato a praticare il tiro con l'arco diventando una delle punte di diamante della Nazionale Paralimpica del suo Paese. Il secondo posto ottenuto ai Campionati Asiatici dell'anno scorso le ha permesso di staccare il pass per le Olimpiadi.

Un modo per scrivere la Storia

Sebbene si sia proclamato indipendente dal 2008, il Kosovo non è ancora risconosciuto tale da ben 82 Paesi dell'ONU. Un passo importante potrebbe essere rappresentato dalla partecipazione della rappresentativa kosovara ai Giochi Olimpici di Rio, momento assolutamente storico per il piccolo Stato balcanico. Portabandiera del Kosovo è stata Majlinda Kelmendi, judoka di 25 anni che potrebbe scrivere un ulteriore capitolo di Storia del suo Paese conquistando la prima medaglia ai Giochi. Un'infanzia vissuta sotto la guerra, una grinta fenomenale ed un talento puro che la contraddistingue, alla luce di ben due titoli mondiali nel suo palmares nella categoria 52 kg: ha tutte le carte in regola per imporsi.

Come non citare, inoltre, la saudita Sarah Al Attar: quattro anni fa a Londra partecipò alla maratona femminile, copertissima come impone la rigida legge del suo Paese. Le rappresentanti femminili dell'Arabia Saudita a Londra erano due, a Rio sono invece quattro: oltre Sarah infatti ci sono la centometrista Cariman Abu Al Jadail, la fiorettista Lubna Al Omair e la judoka Wujud Fahmi. Sono simbolo di come lo sport possa essere un mezzo dirompente per la conquista di diritti elementari che, purtroppo, in tante parti del mondo sono ancora negati a milioni di donne.