Come tutti gli anni, in questo periodo sulle reti RAI si susseguono gli spot che invitano gli utenti a pagare il canone. Non è questa la sede per stabilire se l'obbligo di una tassa di possesso per l'apparecchio televisivo sia giusta o meno, resta il fatto che in molte nazioni europee tale imposta è stata abolita, in altre invece si paga un importo, ma nelle tv pubbliche non passano pubblicità commerciali. In Germania invece, dal 2013 è addirittura dovuto un canone indipendentemente se si possiede o meno un apparecchio atto a ricevere trasmissioni televisive.

Da noi, anche se si chiama canone RAI, il tributo è dovuto anche senza l'effettiva ricezione dei programmi della RAI in quanto come già indicato si configura non come tassa collegata alla fruizione del servizio, ma come imposta per il possesso di apparecchi atti o adattabili a ricevere programmi.

Cosa si intendesse per tale definizione non era molto chiaro e varie associazioni di consumatori hanno più volte interrogato i soggetti istituzionali competenti. Dopo varie elaborazioni della definizione, nel 2012 si è giunti a stabilire che un apparecchio si ritiene atto (o adattabile) a ricevere programmi televisivi solo se questo è munito di stadio di sintonizzazione operante sulle bande destinate al servizio di radiodiffusione.

Ecco quindi che, come è anche specificato nella rivista Soldi e Diritti edita da Altro Consumo del gennaio 2014, un PC, un tablet, uno smartphone privi di tale stadio non sono soggetti all'imposta anche se tramite la connessione telefonica possono accedere perfino ai siti RAI che trasmettono in chiaro tutto il loro palinsesto.



In pratica, in parole povere, si paga per programmi ricevuti dall'antenna ma niente è dovuto per la visione di programmi televisivi, anche dell'Azienda RAI, ricevuti tramite connessione ad internet. Questo naturalmente se in casa non deteniamo altri apparecchi.