Gli acquisti di beni commerciali su internet stanno prendendo sempre più piede, mettendo in crisi molti esercizi commerciali tradizionali ma anche la grande distribuzione organizzata. Ma, ora, potrebbero rappresentare un nuovo strumento in mano al Fisco per combattere l'evasione fiscale e i reati tributari. Infatti, la Sesta Sezione Civile Tributaria della Suprema Corte di Cassazione ha recentemente emesso la Sentenza 26987/2019 depositata in Cancelleria il 22 ottobre 2019. In estrema sintesi, la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che l'Agenzia delle Entrate, in caso di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, può procedere alla ricostruzione del reddito imponibile con la procedura dell'accertamento induttivo basando le sue analisi sugli acquisti e sulle vendite effettuate dal contribuente interessato mediante piattaforme digitali.

I fatti che hanno portato al giudizio della Corte

Il Supremo Collegio si è trovato di fronte al ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio che aveva ribaltato il giudizio della Commissione Tributaria Provinciale di Roma dando ragione al contribuente e annullando un avviso di accertamento per il mancato versamento dell'IRPEF relativa all'anno di imposta 2006. Per l'Agenzia delle Entrate, infatti, la CTR del Lazio aveva errato o falsamente applicato le disposizioni contenute negli articoli 38 e 41 bis del DPR 600/1973 in tema di "Accertamento sintetico" e di " Accertamento parziale in base agli elementi segnalati dall'anagrafe tributaria".

Non solo, ma l'amministrazione finanziaria contestava la erronea o falsa applicazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile in tema di "Onere della prova", di "Nozione di presunzione" e di "Presunzioni semplici". Ed, infine, l'AdE sosteneva la violazione o falsa applicazione dell'articolo 116 del Codice di procedura civile in tema di "Valutazione delle prove".

L'Agenzia delle Entrate, infatti, ha fatto notare come l'accertamento fiscale si sia basato essenzialmente sulle informazioni acquisite tramite la piattaforma digitale di compravendita sulla quale il contribuente aveva operato in maniera professionale nel corso degli anni dal 2004 al 2009. E questo in quanto il contribuente stesso non aveva provveduto a presentare la necessaria documentazione fiscale.

Non solo, ma il contribuente nel corso di quegli anni non aveva tenuto neanche le obbligatorie scritture contabili. Tutto ciò risultava espressamente dal processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza. Di conseguenza l'amministrazione finanziaria aveva provveduto a accertare i redditi imponibili in via presuntiva. Presentando, quindi, ricorso per Cassazione contro la decisione della CTR del Lazio.

La decisione della Corte Suprema di Cassazione

Il Supremo Collegio, per quanto riguarda la procedura di accertamento induttivo sulla base delle informazioni derivate dalla piattaforma digitale di compravendita di un e-commerce, ha ritenuto fondato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate. La Suprema Corte, infatti, ha richiamato un suo consolidato orientamento.

In base a tale orientamento, in caso di omessa dichiarazione, l'amministrazione finanziaria può procedere all'accertamento induttivo del reddito imponibile anche sulla base di presunzioni prive dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza. In tali casi, queste presunzioni hanno valore di prova e producono, quindi, l'effetto di attribuire l'onere della prova in capo al contribuente. L'amministrazione finanziaria ha l'unico obbligo di raccogliere i dati su cui fondare tali presunzioni con modalità non contrarie alla legge. Di conseguenza, il ricorso dell'AdE è stato accolto e la sentenza impugnata rinviata alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per un nuovo giudizio.