L'etimologia di questa parola, pizzo, si perde un po' nella notte dei tempi, richiamando costumi e abitudini dei popoli che hanno conquistato lo stivale italico. Nel significato che ci rimanda a questo contesto, pizzo sta a definire un modus operandi tipico delle organizzazioni criminali, ovvero la tangente che viene estorta dalle associazioni delinquenziali alle attività produttive. Il pizzo ci richiama così alle vessazioni subite da un commerciante di Adelfia che si è visto costretto a pagare per ben 3 volte del denaro al clan di Cosola, i cui reggenti sono detenuti in carcere.

Adelfia: commerciante paga 3 volte il pizzo

Le indagini dei carabinieri prendono avvio nell'aprile scorso quando viene compiuto un attentato dinamitardo ai danni del titolare di un negozio di Adelfia (che già qualche mese era stato vittima di un incendio). L'esplosione di aprile aveva danneggiato gravemente il locale, ed anche due macchine parcheggiate nei paraggi: la violenza esplosiva è stata tale da frantumare anche i vetri delle vicine abitazioni. Le indagini hanno accertato come il commerciante avesse iniziato a pagare un pizzo di 500 euro circa 5 anni fa ai parenti del primo detenuto. Tuttavia all'inizio del 2013 a causa di alcuni dissidi sorti all'interno della famiglia del clan Di Cosola, era stato impartito l'ordine che l'uomo pagasse il pizzo anche ai familiari degli altri due detenuti. La famiglia del primo evidentemente non ha molto gradito questa estensione dei "pagamenti" così ha agito col linguaggio tipico delle organizzazioni delinquenziali di stampo mafioso, cercando di incutere terrore nella vittima con l'attentato dinamitardo. IL commerciante quindi a seguito di queste intimidazioni finisce per pagare il pizzo a tutte e tre le famiglie per una cifra di circa 800 euro mensili. Trovandosi però sull'orlo del fallimento, esasperato da questa situazione sempre più insostenibile, decide di collaborare con i carabinieri. Le indagini hanno portato alle ordinanze di custodia cautelare emesse a carico di 6 persone, che dovranno rispondere dell'accusa di estorsione con l'aggravante del metodo mafioso. Tra gli arrestati ci sono anche due donne, moglie e madre di due dei detenuti oggetto di custodia cautelare.