La Polizia di Stato di Verona ha tratto in arresto una infermiera 43enne con l'accusa di aver somministrato della morfina ad un neonato presso l'azienda ospedaliera universitaria.Il fatto è accaduto lo scorso mese di marzo e dalle indagini in corso, non sembrerebbe essere l'unico caso del genere verificatosi.La donna, pur in assenza di specifiche prescrizioni mediche e terapeutiche, avrebbe fatto assumere al piccolo paziente il potente narcotico provocandogli una gravissima crisi respiratoria ponendolo,quindi, in serio pericolo di vita.

Terapia intensiva e tranqullità

Immediatemente ricoverato in terapia intensiva a causa del peggioramente del quadro clinico (crisi respiratoria), al bambino sono state praticate, dai medici, le opportune manovre di rianimazione ed un farmaco antagonista degli oppiacei, con il giusto dosaggio, gli è stato somministrato salvandogli così la vita. La respirazione è tornata regolare e dopo qualche giorno di osservazione, effettuati gli opportuni controlli sul suo stato di salute, è stato dimesso. L'infermiera avrebbe confidato alle sue colleghe che il neonato in questione era "rognoso" e che per farlo stare tranquillo aveva proceduto all'utilizzo di morfina e benzodeazepina essendo convinta della inesistenza di pericoli.

L'uso della morfina in campo medico

La morfina è un alcaloide estratto dal papavero da oppio. Viene usata in medicina sopratutto per la terapia del dolore. Inoltre, viene anche utilizzata per l'anestesia generale, epidurale e stabilizza, tralatro, la glicemia nei diabetici. Se viene impartita al paziente per via endovenosa o sottocutanea, il suo effetto è istantaneo mentre, per via orale, bisogna attendere tempi più lunghi.Tuttavia, questo farmaco può presentare dei rischi connessi ad un uso improprio e prolungato.

Per questo motivo, va usato in maniera corretta secondo le indicazioni di uno specialista. Se viene preso in modo incongruo e prolungato, può indurre a forme di dipendenza fisica e psichicha che potranno risultare, in seguito, di difficile gestione. Tra gli effetti collaterali vi sono l'elevato rischio di tossicità, sintomi di stitichezza, nausea e reazioni allergiche e dermatologiche.

Viene utilizzato anche nella cosiddetta "sedazione palliativa" per i pazienti terminali affetti da malattie incurabili. Quest'ultima non è una forma di eutanasia come si potrebbe pensare, bensì una procedura tecnicamente reversibile mirante al controllo dei sintomi.