Quella toccante foto ha fatto il giro d'Italia, ed è diventata un simbolo della giornata dello sgombero di Piazza Indipendenza, a margine della quale si sono verificati scontri ed episodi che hanno suscitato furibonde polemiche. I giornalisti Anna Dichiarante e Luca Monaco di Repubblica.it sono riusciti a rintracciare la donna in questione e intervistarla, chiedendole il suo parere circa quanto avvenuto quel giorno. La donna ha raccontato di essere molto stanca e di non riuscire a dormire da giorni, e ritiene che quella foto che la ritrae sia stata strumentalizzata: "qualcuno ha usato quella foto, ma la verità è che ci puntavano gli idranti contro".

Chi è la donna della foto

Si chiama Lelti, ha 40 anni ed è una rifugiata proveniente dall'Eritrea. Ha una figlia rimasta in Sudan e suo malgrado è diventata un simbolo della giornata dello sgombero dei migranti che si erano accampati in Piazza Indipendenza. Chiamata ad esprimersi sulla foto e sull'accaduto, risponde che "la carezza di un poliziotto non può cancellare quello che è accaduto", e presa dalla disperazione afferma di non volere più avere a che fare con gli italiani. "Ci hanno trattato come una scarpa vecchia. Quando gli italiani sono stati in Eritrea non li abbiamo trattati in questo modo" si sfoga. Poi porta le mani al volto e non riesce a trattenere le lacrime. Piange, è ancora traumatizzata, indossa gli stessi abiti del giorno precedente e non aveva certo intenzione di diventare un simbolo di quella giornata.

La foto le ha creato problemi

La notorietà guadagnata con quello scatto non le ha giovato, anzi ha finito per crearle problemi. Racconta di lavorare come colf, e che la famiglia per cui lavora l'ha riconosciuta e non l'hanno presa bene. Ma quello che sembra preoccuparla maggiormente è il fatto che la foto possa essere strumentalizzata, per sdoganare il messaggio che le forze dell'ordine durante l'operazione di sgombero "siano state buone".

Per lei si è trattato di un blitz fascista: "altro che carezze, avevamo gli idranti puntati contro, ci hanno rivolto insulti".

Dopo lo sgombero di giovedì in molti hanno trascorso la notte in strada, qualcuno ha trovato posto in altri edifici occupati o da qualche conoscente. Alcune donne con i bambini sono state sistemate in centri di accoglienza dopo aver trascorso molte ore nell'ufficio immigrazione.

Altri ancora sono stati indirizzati verso il Baobab, dove è allestito un punto di accoglienza non autorizzato. Ma il trauma di giovedì è ancora fresco nella loro memoria. "La polizia è intervenuta mentre stavamo dormendo - racconta Enos, un bambino di sei anni - tutti gridavano, ho visto quando hanno preso per il collo una donna". Quanto alle bombole scagliate contro gli agenti si giustificano sostenendo che volevano difendersi. Il clima di incertezza è ancora tangibile. "Non so dove finirò, non ci hanno prospettato soluzioni" conclude Lelti, che poi si allontana.