Sgomenti e terrorizzati davanti alle ultime immagini, apocalittiche, provenienti prima da Genova, colpita duramente e ripetutamente da quello che ormai non si può più chiamare semplicemente "maltempo", poi dal Piemonte e dalla Lombardia, si affacciano alla mente alcune considerazioni. Per esempio nessuna delle regioni italiane può chiamarsi fuori da quella che è chiamata "tropicalizzazione del territorio". Un fenomeno ampiamente previsto, annunciato nei decenni precedenti, ma che ha riscontrato - al solito - risatine di scherno e/o sguardi di compassione in quelle che di volta in volta erano considerate le "cassandre" di turno.

Perché dopo tanto parlare di riscaldamento globale, cioè dell'aumento della temperatura del pianeta, gli effetti tangibili di questo fenomeno sono ora sotto gli occhi di tutti. La temperatura del Mediterraneo è aumentata sensibilmente di qualche grado, offrendo un habitat favorevole a meduse di proporzioni inusuali, così come al largo (ma non solo) delle coste sarde non sono più una rarità gli squali e i barracuda. Tropicalizzazione non significa quindi solo il caldo simile a quello dei Caraibi, con una distinzione netta, repentina tra la fine della lunghissima estate e l'inizio di quella che ha tutte le caratteristiche di una "stagione delle piogge", ma anche fare i conti con trombe d'aria, bombe d'acqua, mari in burrasca con onde altissime e spaventose, nubifragi, alluvioni, esondazioni.

Tutto questo con una frequenza alla quale in Italia non eravamo assolutamente abituati. Peggio: non eravamo per niente preparati. Un esempio su tutti, quei tre milioni di euro non spesi a Genova per contrastare i rischi idrogeologici e che invece, complice una burocrazia bizantina e assassina, son ricomparsi nelle cronache dopo la prima vittima.

Perché i cicloni e le ormai apocalittiche perturbazioni se ne fregano dei tempi biblici degli uffici dell'italico paese, provocando danni e mietendo vittime come moderni sacrifici umani. L'Italia, lo si sa da anni, è un paese ad altissimo rischio idrogeologico; nonostante questo, si è continuato a disboscare, costruire ovunque, concedere condoni per innumerevoli abusi.

Si è davvero ipotecato il futuro delle generazioni successive, perché la conta dei danni (e siamo soltanto a metà novembre) si va aggiornando ora dopo ora. Come se l'Ambiente, il territorio, l'aria e le acque che abbiamo stuprato, depredato, avvelenato in ogni modo possibile e immaginabile si fossero stufati (come dar loro torto?) di questa deprecabilissima situazione e manifestassero nell'unico modo possibile, l'urlo rabbioso di un uragano, il proprio sdegno.

Siamo qui a riempirci la bocca delle nostre piccole miserie umane, ma può darsi che questa sia la volta buona per ricordarci che il pianeta non è nostro, anzi, siamo noi a viverci sopra come ospiti, purtroppo spesso e a ragione, indesiderati.

Tra le immagini più vivide, una giovane mamma che trascina via i propri figli, fuggendo da casa, con l'acqua alle ginocchia, verso l'auto già in moto dove il marito la aspetta incitandola a fare più in fretta. Speriamo di farcela anche noi.