Più arance nell'aranciata: via libera dell'Unione europea all'innalzamento dal 12% al 20% del contenuto di succo d'arancia nelle bibite prodotte in Italia le cui denonimazioni si rifanno al nome dell'agrume. A sottolineare la portata storica del provvedimento è Coldiretti, che sottolinea come l'autorizzazione comunitaria sia arrivata dopo lo stop all'aranciata senza arance, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 24 maggio e poi notificato alla Commissione europea.

«Al nuovo parametro dovranno adeguarsi tutte le aziende produttrici, secondo un percorso che hanno già intrapreso e che obbligatoriamente dovranno completare entro il 6 marzo 2018 – precisa il presidente nazionale Coldiretti Roberto Moncalvo -.

Il prossimo passo verso la trasparenza sarà quello di rendere obbligatoria l’indicazione di origine in etichetta della frutta utilizzata nelle bevande per impedire di spacciare come “Made in Italy” succhi concentrati importati da Paesi lontani».

Bene per la salute e per i conti delle aziende agricole

Oltre all'impatto positivo sulla salute dei consumatori (una bevanda con il 20% di succo d'arancia contribuisce a soddisfare il bisogno giornaliero di vitamina C), l'incremento della percentuale di frutta dovrebbe generare un effetto economico non da poco sulle imprese agricole: quell'8% in più di vero succo d'arancia nelle bibite corrisponde a un maggior utilizzo di frutta per 200 milioni di chili.

Così potrebbero essere salvati oltre 10 mila ettari di agrumeti italiani (circa ventimila campi da calcio), soprattutto in Sicilia e Calabria. Da non sottovalutare, sempre secondo Coldiretti, le conseguenze paesaggistiche, tenuto conto che negli ultimi quindici anni in Italia è scomparso il 31% degli aranci.

«Con la nuova norma – conclude Moncalvo -, si contribuisce a offrire il giusto riconoscimento alle bevande di maggior qualità, riducendo l'impiego di aromi artificiali e di zucchero che potevano essere utilizzati per sopperire alla minor appetibilità di quei prodotti».

Riflessi positivi potrebbero interessare tutte le regioni votate alla frutticoltura, come il Piemonte, che conta una produzione di circa 7 milioni di quintali con 10 mila aziende produttrici di mele, kiwi, pesche e susine con oltre 60 mila addetti e un fatturato che, compreso l’indotto, sfiora il miliardo di euro. «Numeri che confermano l’importanza del comparto - dice Delia Repelli, presidente di Coldiretti Piemonte -. Con l’aumento della percentuale di frutta nelle bibite, anche i frutticoltori piemontesi potrebbero avere importanti benefici economici”.