Se Zapatero aveva impresso alla Spagna una sterzata troppo decisa, a detta di cattolici e conservatori, verso sinistra, oggi il Partido Popular guidato da Rajoy trascina il Paese, d'accordo col Vaticano, indietro di trent'anni. Il governo spagnolo sta rimaneggiando la legge sull'aborto del 2010. Obiettivo: eliminare in determinati casi la discrezionalità della scelta in materia da parte della donna.

Il balzo all'indietro è sorprendente, se consideriamo che la legge in vigore nel 1985 consentiva l'aborto in tre casi: stupro, rischio di salute per la madre e deformità del feto. Oggi, la proposta è di depennare dalla lista dei casi leciti il terzo: la condizione di salute del feto e una sua eventuale malformazione non saranno più un motivo valido per interrompere la gravidanza, come candidamente affermato da Alberto Ruiz-Gallardón, il Ministro della Giustizia.

Inoltre, anche per quanto riguarda il caso di stupro, sarà una commissione a giudicare l'ammissibilità dell'aborto, dal momento che un'accusa di violenza potrebbe essere opinabile e tendenziosa. Dei medici incaricati valuteranno caso per caso per accertarsi che il danno psicologico sia sufficiente a giustificare un'interruzione di gravidanza.

Considerato che alle elezioni del 2011 il PP raggiunse il 44,62% delle preferenze, non dovrebbe stupire che una grande fetta della popolazione spagnola risponda favorevolmente al provvedimento, almeno a giudicare dai sondaggi; eppure, una riforma (anzi, una contro-riforma) così radicale risulta quanto meno anacronistica.