"Giocavamo in cortile tutto il giorno e poi all'oratorio. Ma volevamo arrivare lì. Per riuscirvi, falsificai la mia data di nascita, dicendo che ero del '59 e non del '60. Perché allora, se avevi meno di dieci anni, il calcio agonistico non lo potevi fare. Poi mio padre sistemò le cose". Da qui partiva il racconto di Walter Zenga in un'intervista al Corriere della Sera nel 2010 e, sempre da qui, cominciava la storia di un sogno.
In quello che potrebbe sembrare un racconto monografico irrompe però un altro personaggio, non "guascone" come il primo, anzi.
Un ragazzo serio, talentuoso che fa del gol la propria ragione d'essere, Roberto Mancini.
Sampdoria-Inter
I due all'epoca erano uniti, forse, solo da Mega Drive, in un'immagine che li ritraeva l'uno vicino all'altro con pistole e tv a tubo catodico come sfondo del loro legame.
E intanto il Mancio approda alla Samp per 4 milioni di lire e si cuce addosso lo scudetto in una Genova dove rimarrà per quattordici anni.
L'11 settembre 1983 Zenga esordisce al Meazza proprio contro la Samp.
Tempo
Quello che al Mancio non manca per entrare da subito nelle anime blucerchiateèquello stesso tempo che gli permette di tornare, nel novembre 2014, sulla panchina nerazzurra subentrando a Mazzarri.
In questo frammento di storia anche l'Uomo Ragno era in corsa, ma arrivò secondo e fu proprio Walter stesso ad annunciare con un tweet che all'Inter avevano scelto Roberto.
Un sogno sfumato all'ultimo. Ma Zenga non è mai stato una seconda scelta e, anche se ha dovuto girare parecchio attorno al pallone come un 45 giri, lui all'Inter vi è tornato e, nell'89, ha vintouno scudetto storico, una Supercoppa e due Coppa Uefa nel '90 e nel '94. Èal termine di quest'anno che si trasferisce alla Samp, lasciando il posto in campo a Pagliuca.
Un rapporto complicato col tempo, insomma, per il portiere che, a Italia 90, si fece infilare da Caniggia in un Mondiale fino a quel momento perfetto. Walter, premiato poi come miglior portiere, non reggeva più la critica in malafede, la cattiveria perpendicolare al suo talento e al suo essere simbolo e si giustificò dicendo che l'argentino era stato più bravo di lui.
Sincero, leale, e crocifisso anche in quell'occasione, come se gli piacesse mettere davanti, ancora una volta, il suo sorriso beffardo, davanti alle sue responsabilità e i suoi errori.
Vialli, compagno del Mancio, quella sera sbagliò a due passi dal portiere e nessuno ne parla più, come del Baggio del '94. Errori che segnano la storia.
Zenga e Mancini oggi
Il Mancio che "senza di lui non ci si diverte", a detta di Paolo Mantovani, restò alla Samp fino al '97 per intraprendere poi una brillante carriera da manager.Predestinato lui, l'esatta metà di una delle coppie gol più incredibili di sempre, e trionfatore anche in panchina, anche se la Doria non l'ha mai allenata.
Tanta gavetta, invece, per l'altro, con Stati Uniti, Romania, Serbia, Turchia ed Emirati Arabi nel suo passaporto da tecnico, con una parentesi fumosa a Catania, prima, e a Palermo, poi.
L'addio all'Inter fu sofferto, come quando si lascia un amore, un percorso e un frammento di storia scritta assieme.
Mancini ormai è qualcosa di grande, e non ce ne voglia per la narrazione "zengocentrica". Lui ha avuto il tempo dalla sua parte. Lo stesso tempo che consigliò a Zenga di andar via dall'Italia in un calcio che non gli apparteneva più, fatto di vizi e spregiudicatezze morali.
Ora è tornato e il destino incrocia la vita come vuole, come un tiro da fuori area in una storia scritta da due amici, campioni, simboli. Ora è tornato è fino ad ora no, non l'hanno ancora ucciso, l'Uomo Ragno.