Ci sono voluti ventisei anni, tre anni e mezzo di processo e due giorni di camera di consiglio per affermare quello che chi conosceva Mauro Rostagno e il suo lavoro di giornalista aveva capito appena saputa la notizia del suo assassinio: è stata la mafia.

La Corte d'Assise di Trapani, presieduta da Angelo Pellino, ha condannato all'ergastolo, in qualità di mandante, il capomafia locale Vincenzo Virga e Vito Mazzara in quanto esecutore materiale dell'omicidio, entrambi già in carcere per scontare altre condanne, tra cui quella relativa all'uccisione del poliziotto Giuseppe Montalto nel 1995.

Chi era Mauro Rostagno

Torinese e figlio di operai della Fiat, Mauro Rostagno, dopo un'esperienza da emigrato in Germania, si iscrive alla Facoltà di Sociologia di Trento, laureandosi in compagnia di altri studenti come Marco Boato e Renato Curcio.

L'esperienza di leader nella protesta studentesca del '68, lo porta ad essere, nel 1969, uno dei fondatori di Lotta Continua, insieme a Adriano Sofri ed Enrico Deaglio, ed uno dei principali fautori della chiusura dello stesso movimento nel 1976.

Profondamente pacifista, si avvicina al movimento arancione e fonda, nei pressi di Trapani, la comunità Saman per il recupero di tossicodipendenti.

Comincia a collaborare con l'emittente televisiva locale RTC, dai cui schermi denuncia le collusioni tra mafia e politica locale ricevendo per questo minacce di morte da parte dei boss locali, tra cui Francesco Messina Denaro, padre dell'attuale ricercato numero uno Matteo.

La sera del 26 settembre 1988, Mauro Rostagno viene ucciso a fucilate e le cassette contenenti i video dell'ultimo scoop scomodo cui stava lavorando vengono portate via dai killer.

Il suo nome diviene simbolo, insieme a quello di Peppino Impastato, della lotta alle mafie condotta dall'associazione Libera di Don Ciotti.

Il processo

Per oltre vent'anni, si è assistito a tutto il campionario possibile dei depistaggi, dal delitto passionale, al regolamento di conti interno alla comunità Saman, nonostante la precisa indicazione della pista mafiosa da parte della squadra mobile trapanese.

Pista sulla quale gli inquirenti non vollero indagare, nella convinzione che, non essendoci processi in corso, "a Trapani la mafia non esiste".

Si è dovuti arrivare al 2011 per riaprire il processo, grazie solo alle dichiarazioni di alcuni pentiti, tra cui Giovanni Brusca, e all'acquisizione di una perizia balistica che identifica il fucile con cui è stato ucciso Rostagno come lo stesso utilizzato per eliminare Montalto.

La storia di Mauro Rostagno si conclude così con l'accertamento delle responsabilità sulla sua morte, ma rimane ancora tutta da scrivere la storia su chi e perché, per oltre vent'anni, ha cercato di nascondere la verità con bugie e depistaggi.

Se fosse ancora in vita, questo sarebbe ora l'impegno del giornalista Mauro Rostagno.