Il presidente ucraino Petro Oleksijovyč Porošenko, noto più per i suoi successi nel settore dolciario che per il suo lavoro come ministro del Commercio nel 2012, ha annunciato che nonostante le voci ed i comunicati su di un possibile cessate-il-fuoco concordato con il presidente Putin, i combattimenti continueranno e "i separatisti che controllano da oltre due mesi gran parte delle regioni di Donetsk e Lugansk" saranno attaccati.
Da tempo ormai la protesta armata filo-russa, in cui comparivano misteriose milizie a volto coperto equipaggiate di tutto punto, ha lasciato il campo a scontri tra professionisti della guerra, dotati di logistica ed armamenti di ultima generazione e l'intensificarsi non solo della quantità ma anche della "qualità" degli scontri sembra allontanare la speranza di una fine a breve per il conflitto civile nell'ex repubblica sovietica.
Tuttavia il presidente ucraino ha ribadito che si potrà "tornare al regime del cessate il fuoco in qualunque momento" purché si dimostri coi fatti l'intento di voler portare avanti un processo di pacificazione, gli insorti depongano le armi e vengano espulsi dal paese i mercenari che combattono per i separatisti, oltre a venire identificati e puniti i fornitori di armamenti e coloro che hanno commesso crimini gravi.
Sul fronte opposto il presidente russo ha ribadito la volontà di proteggere le minoranze russe sul suolo ucraino, la necessità di formare un corridoio per permettere ai mercenari di uscire pacificamente dal paese, l'obbligo di sciogliere le milizie internazionali di estrema destra che si stanno formando a Kiev e concedere l'amnistia ai combattenti che non abbiano commesso brutalità.
Non è chiaro tuttavia se la recente escalation sia preludio a scontri di più vasta scala o sia il colpo di coda del conflitto prima del suo termine.