Le dichiarazioni rilasciate ieri 6 Agosto dalla vicepresidente del Senato Valeria Fedeli avevano fatto ben sperare. Eppure, contestualmente arriva il grido di allarme dai Centri antiviolenza di Perugia e Terni.Per i dueCAV dell'Umbria, la mancanza di fondi è un problema la cui soluzione è inderogabile, e non bastano proclami, tanto che sono costretti a ridurre le loro attività.

In un comunicato stampa le difficoltà economiche

A darne notizia, attraverso un comunicato stampa, sono proprio i due centri che lamentano il mancato riparto del fondo nazionale, stabilito dalla legge 119/2013, recante "disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto alla violenza di genere".

Infatti, nonostante il sostegno della Regione Umbria e l'impegno degli enti locali, l'Associazione "Libera...mente donna", che gestisce i CAV di Terni e Perugia, comunica di dover ridurre l'orario di apertura a causa delle ristrettezze economiche. Tale riduzione avrà come diretta conseguenza quella di diminuire i servizi alle donne che hanno subito o che subiscono violenza maschile.

La chiusura annunciata

Da lunedì 8 agosto, pertanto, saranno dimezzati, se non addirittura cassati, gli inserimenti in emergenza e non potranno essere garantiti neppure nuovi colloqui, se non quelli previsti perché già avviato il percorso di autodeterminazione con alcune donne. Oltre ai colloqui, saranno garantite anche tutte le attività a favore di tutte coloro che già sono ospitate nei centri.

Anche la reperibilità telefonica viene ridotta (non più 24h come in precedenza). Gli orari garantiti saranno dal lunedì al venerdì, dalle 9:00 alle 12:00 e dalle 15:00 alle 18:00.

L'intervento diEnrico Flamini

A pronunciarsi sulla situazione subita dai CAV di Terni e Perugia è il segretario di Rifondazione Comunista, Enrico Flamini, per il quale è vergognoso che "in un periodo difficile come quello che stiamo attraversando rispetto al femminicidio, la Regione, con a capo il suo presidente Marini, non interviene con urgenza per richiedere a gran forza al governo le risorse necessarie per far sopravvivere i centri antiviolenza".

La violenza maschile non va in vacanza

Infatti, per tutti e tutte è risaputo che la violenza maschile non va in vacanza, semmai risulta un'emergenza sulla quale non si può calare l'attenzione in qualsiasi periodo dell'anno. Anche se ci fosse una sola donna uccisa per mano maschile, quell'omicidio andrebbe prevenuto con un lavoro che solo i centri antiviolenza sono in grado di fare grazie alla preparazione delle loro operatrici.Il mancato riparto dei fondi nazionali è un fatto gravissimo, che va denunciato e risolto a stretto giro di boa.

Non è possibile ridurre, per i CAV, le spese sociali di questo tipo, perché vanno a colpire le cittadine e i cittadini che ne hanno legittimo diritto, anche nel rispetto delle leggi in vigore. Infatti, oltre alla già citata legge 119/2013, non va dimenticata anche la legge 154 sulla violenza domestica.

La violenza sulle donne è di drammatica attualità e lottare contro essa non può ridursi solo a una manifestazione,oppure con i drappi alle finestre delle istituzioni. Oltre alla mobilitazione sociale, è necessario che le istituzioni si facciano carico adesso delle esigenze dei CAV che lavorano in modo incessante sul territorio. Tagliare loro le risorse significa lasciare nella solitudine e nel pericolo chi, invece, va liberata dalle catene della violenza maschile.