Fidel Castro, líder máximo ed ex presidente di cuba, è morto. Il leader rivoluzionario aveva 90 anni. Lo ha annunciato poco dopo la mezzanotte di venerdì (a Cuba) il fratello, Raúl Castro, attuale presidente dell’isola. «Il comandante in capo della rivoluzione cubana è deceduto stasera alle 22.29», ha annunciato Raúl con voce tremante. «Il corpo di fidel castro sarà cremato nelle prossime ore», ha aggiunto Raúl, concludendo con lo slogan tanto amato dal fratello maggiore: «Hasta la victoria, siempre».

La rivoluzione cubana (1959)

Nel 1952 aveva assunto il potere il corrotto e sanguinario dittatore Fulgenzio Batista; contro il suo governo, a partire dal 1956, un giovane avvocato, Fidel Castro organizzò la guerriglia, conquistando l’appoggio delle masse contadine e larghe simpatie in altri ceti.

Sconfitto Batista, Fidel Castro, nel 1959, assunse la carica di Capo del Governo; instaurando un regime comunista monopartitico, concentrando tutti i poteri nelle sue mani. Varò inoltre una riforma agraria che espropriò sia i latifondisti cubani, sia le società straniere e specie statunitensi (viene meno anche il monopolio sulla coltivazione della canna da zucchero della United Fruit Company). Ciò provocò l’ostilità degli Usa, accentuatasi per l’avvicinamento di Castro all’Urss, che divenne maggior acquirente dello zucchero cubano.

Le ripercussioni internazionali della rivoluzione cubana

Gli Usa risposero alla rivoluzione castrista col boicottaggio economico, finanziando (attraverso la Cia) uno sbarco di esuli anticastristi alla Baia dei Porci (per promuovere l’insurrezione).

Tuttavia il tentativo fu stroncato dopo una furiosa battaglia durata 3 giorni (1961). Poco dopo, l’Urss tentò, d’accordo con Castro, d’installare nell’isola missili a lungo raggio; tentativo che determinò la crisi dei missili (1962), un periodo di pericolosissima tensione internazionale poi risoltosi.

Inoltre la rivoluzione cubana alimentò movimenti di guerriglia in tutta l’America latina (rif.

Ernesto Che Guevara, ucciso in Bolivia nel 1967).

La distensione tra Usa e Urss, avviatasi dal 1985 con Gorbaciov, e soprattutto la grave crisi interna costrinsero il regime sovietico ad abbandonare Cuba al suo destino, costringendo il governo cubano a varare pesanti restrizioni economiche sulla popolazione e a traghettare il Paese verso una lenta apertura al capitale e alle tecnologie straniere (tentativo sempre osteggiato dai quadri dirigenti comunisti).