Le cronache del terremoto infinito che vive il Centro Italia vanno affrontate con estrema cautela perché scavano nell’animo delle persone che vivono in quei luoghi; tuttavia vanno raccontate, in quanto il silenzio genera danni. E tra le questioni da capire bene c’è quella della faglia sismica di Campotosto e una delle tre dighe che corrono sopra il lago: la Rio Fucino, costruita proprio sulla faglia.

Una faglia ora parzialmente riattivata, che si trova a 15 km di profondità e lunga intorno ai 30 km, in teoria, capace di provocare terremoti considerevoli. Tenuto conto che per estensione parliamo del secondo lago d'Europa, contenente oltre 300 milioni di metri cubi di acqua, cosa succederebbe se si muovesse proprio quella faglia? Gli scenari sono da incubo.

L’allarme Grandi Rischi, poi la rettifica

La sensazione da brivido maggiore, almeno per quelli non più giovanissimi come me, è arrivata da quella parola evocata al Tg3 da Sergio Bertolucci, presidente della Commissione Grandi Rischi che aveva lanciato l’allarme Vajont: "Nella zona di Campotosto c'è il secondo bacino più grande d'Europa con tre dighe, una delle quali su una faglia che si è parzialmente riattivata e ci possono essere movimenti importanti di suolo che cascano nel lago, per dirla semplice è 'l'effetto Vajont”.

Aggiungendo che "se si avverte un aumento del rischio, bisogna immediatamente renderlo trasparente alle autorità e alla popolazione”. Una dichiarazione che ha immediatamente messo in agitazione i sindaci della zona, arrivati a chiudere le scuole sine die. A questo punto lo stesso presidente della commissione ha fatto un passo indietro e qualche ora più tardi rettifica e chiarisce: “la diga di Campotosto non rischia pericolo imminente di effetto Vajont“. La vicenda è subita finita sul tavolo del Ministro delle infrastrutture.

La Protezione Civile affrontò la vicenda diga di Campotosto già sei anni fa, affidando uno studio della situazione all’Eucentre, il Centro europeo di ingegneria sismica, che ultimati gli studi relazionò di un pericolo reale: in caso di Terremoto forte su quella faglia non era da escludere un cedimento della diga.

La diga è gestita da Enel, che ha sempre difeso l'affidabilità dell'impianto e garantisce anche in queste ore in virtù di "tutti i controlli previsti eseguiti da Enel in questi giorni".

La tragedia del Vajont

Insomma, tutto sarebbe sotto controllo. E ci mancherebbe che non fosse altrimenti mezzo secolo dopo quel del 9 ottobre 1963, quando alle ore 22.39 oltre 250 milioni di metri cubi di roccia si staccarono dal Monte Toc, cadendo nell'invaso artificiale del Vajont. La conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso generò una enorme ondata, che scavalcò la diga appena costruita e distrusse i centri situati a valle. Il bilancio delle vittime fu apocalittico: 1910, e fu proprio la costruzione della diga del Vajont a determinare la frana del monte Toc.

Fu aperta un’inchiesta giudiziaria, durò tre anni e si concluse nel 1971 con la sentenza di omicidio colposo plurimo e il riconoscimento di responsabilità penale per la prevedibilità di frana e inondazione.