"La guerra è odore di sangue, sporco e bruciato che ti si appiccica addosso. La guerra è passare le notti al telefono a cercare la famiglia di una bambina arrivata da chissadove. La guerra è quando curi una persone due volte: in Iraq e poi a Bari."

Queste le parole con cui cecilia strada ha aperto i lavori della tre giorni del Festival "La Guerra è - Ripensare il mondo senza i conflitti", che si chiude oggi a Pavia, dove è stato realizzato grazie all'impegno dei volontari emergency della città.

In un lungo intervento, la presidente della celebre ong ha festeggiato celebrato i 23 anni di un ente fertile, operoso, al servizio delle vittime di guerra, delle mine e della povertà.

Due decadi di lavoro in quattro cartoline dagli angoli del mondo. Immagini, dati, storie. L'assurda follia della guerra negli occhi di chi l'ha vista, l'ha toccata, l'ha annusata.

Afghanistan, 1999

La prima cartolina ci porta in Afghanistan, dove l'ultimo conflitto è cominciato nel 2001 per iniziativa degli Stati Uniti dopo l'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre. In particolare, l’Italia c’è dentro da quindici anni. Anni in cui l'ONU ha registrato un aumento pericoloso dei feriti in tenera età. Emergency è presente con un ospedale a Kabul, specializzato in primo soccorso, chirurgia di guerra, poli maternità. Un terzo è occupato da ragazzini al di sotto dei 14 anni. Bambini con ferite sempre più devastanti, mutilazioni orribili che si curano, ma non guariscono.

Persone che non saranno mai più le stesse. "L'Afghanistan - racconta Cecilia Strada - è un paese meraviglioso, che precipita anno dopo anno nella violenza: la produzione di oppio è raddoppiata così come il tasso di criminalità e ci sono due milioni di tossicodipendenti. Ma quello che colpisce è l’indifferenza degli Italiani: in quindici anni, sono stati spesi 6 miliardi di tasse in missioni militari.

Nello stesso periodo, con 86 mila euro, Emergency ha curato 4 milioni di persone, fatto nascere 20 bambini al giorno, fornito 3 pasti ai malati e ai loro famigliari. Abbiamo costruito pezzi di società sana, risparmiando e garantendo la qualità dei servizi. Un sistema che cura le persone e genera valore, salari, istruzione. Molto più economico che sganciare una bomba".

Iraq, 2003

Invaso nel 2003, dichiarato “missione compiuta” nel giro di due mesi. Poi, il Paese è finito nell'oblio. È tornato alla ribalta in anni recenti con l'arrivo dell'Isis. È una grande menzogna che sia spuntato come un fungo dopo una notte di pioggia: Daesh è il prodotto della guerra del 2003. "La guerra chiama guerra - spiega la Strada -. Il problema è che si continua a parlarne come di una soluzione. Una logica disumana, che ci imprigiona e ci condanna ad essere sempre più spaventati, violenti a nostra volta". Nei campi profughi, dove si lavora per gli sfollati iracheni e i profughi siriani, tra protesi e riabilitazioni, la metà del personale è costituito da ex pazienti. Uomini e donne che qui hanno trovato lavoro dopo un corso di formazione di 6 mesi.

Polistena (Reggio Calabria), 2013

Ovvero, la meravigliosa storia dell'ambulatorio nato in un edificio sequestrato alla mafia. Una casa di cura gratuita, aperta agli Italiani e ai migranti schiavi del caporalato. Perché "in italia non c’è la guerra fatta con le pallottole e le bombe, ma quella fra poveri. Finché non si renderanno conto che il problema non è l'altro che pure viene sfruttato, ma la 'ndrangheta, che ha tutto l’interesse di soffiare sul fuoco di questa guerra fratricida, non se ne potrà uscire". Oltre all’ambulatorio, nella piana di Gioia Tauro è attiva una navetta gratuita che fa 9 fermate fino alla tendopoli di Rosarno. "Ecco - dice con un sorriso la Strada - una cartolina è senz'altro la pensilina della fermata, in mezzo al nulla, con la E di Emergency schiaffata sopra agli orari".

Molo di Augusta, 2014

Non è mancata l'occasione di parlare della recente polemica sui "taxi del mare", che ha visto nell'occhio del ciclone svariate ONG, accusate di fare il gioco degli scafisti. Benché di Emergency non si sia mai fatto il nome, non sono mancate le accuse di alcuni politici e le minacce, i messaggi di odio e le accuse da parte del popolo di internet. "Una furia cieca - ha commentato la presidente - in cui si è sparato su tutto e tutti. E per di più senza fatti, senza avvisi di garanzia, senza testimonianze. Senza contare che non abbiamo mai lavorato in mezzo al mare con navi nostre". Già, perché lo staff di Emergency era sulla terra ferma, indaffarato nelle prime operazioni di accoglienza dei migranti.

"Ho visto qualche sbarco - racconta emozionata - C’era l’umanità: la donna incinta, il ragazzino che chiedeva in prestito la penna, il vecchio che guardava il vuoto. Chissà cosa doveva aver visto... E poi c'era un bimbo col panciotto, tutto orgoglioso del suo elegantissimo completo. Solo dopo mi hanno raccontato il perché in vista della terra queste persone si mettono chi il velo pulito, chi il vestito buono: l’idea è quella di cominciare una nuova vita, di presentarsi nel migliore dei modi. Ispirare fiducia, avvicinarsi a un popolo che rappresenta la tua serenità, la fine di tanti giorni, tutti uguali, sotto le bombe. Mi sono messa a piangere: sbarchi pensando che sia finita, no? Ma poi, cosa troverai?

Rosarno? Un centro di accoglienza? Chi ti disprezza?"

Una lunga serata, il racconto a cuore aperto di una donna forte, fragile, straordinaria. Di un capo carismatico, che ha spiegato il cerchio della guerra che va, che torna, che non finisce. "Ma la guerra finisce quando si smette di farla. Quando si diffonde un'epidemia di diritti che include tutti, anche quelli che vogliono tirar su un muro. Ma i diritti - come la pace - sono di tutti, anche di chi li nega".