Non c’è nulla che li accomuna – almeno non ideologicamente parlando - se non la data della loro morte e l’efferatezza con cui sono stati compiuti i loro delitti. Aldo Moro venne rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e ucciso, dopo ben 54 giorni di prigionia, il 9 maggio successivo ad appena 61 anni. Una sentenza in piena regola, decisa dal boss della mafia Gaetano Badalamenti, è quella che ha causato la prematura scomparsa dell’attivista politico e giornalista 40enne Peppino Impastato.

Peppino Impastato: un giornalista e attivista scomodo alla mafia

Nato a Cinisi, a pochi chilometri da Palermo, il 5 gennaio 1948, Peppino Impastato è divenuto il simbolo della lotta alla mafia siciliana. Proveniente da una famiglia mafiosa - lo zio era il capomafia Cesare Manzella – appena 17enne ruppe i rapporti con il padre, che lo cacciò di casa, attivandosi fin da subito in iniziative politico-culturali antimafiose. Nel 1965 si iscrive al PSIUP e fonda il giornale L’idea socialista. Appena tre anni dopo, nel 1968, dirige diversi gruppi comunisti e si occupa delle lotte contadine contro l’espropriazione delle terre per l’ampliamento dell’aeroporto di Palermo. Ma è con la fondazione della stazione radiofonica Radio Aut, nel 1976, che iniziano i suoi guai più grossi con la Mafia.

Attraverso l’emittente Impastato e i suoi compagni iniziano a denunciare i crimini, gli affari e i traffici internazionali dei mafiosi che operano nei territori di Cinisi e di Terrasini. Ad attirare l’attenzione sempre più feroce di Gaetano Badalamenti verso il giovane militante di sinistra, è soprattutto la trasmissione satirica di Peppino “Onda pazza a Mafiopoli”, in cui vengono presi in giro sia i mafiosi che i politici locali.

Soprannominato da Impastato “Tano Seduto”, Badalamenti viene denunciato dal giornalista per il suo ruolo di primo piano nel controllo dell’aeroporto di Punta Raisi, da cui la mafia gestiva il traffico internazionale di droga.

Nonostante i ripetuti avvertimenti da parte mafiosa, Peppino Impastato continua la sua battaglia politica e contro la criminalità organizzata.

Nel 1978 si candida alle comunali di Cinisi nelle lista di Democrazia Proletaria, ma viene assassinato pochi giorni prima delle elezioni. Il suo delitto è stato oggetto di depistaggi e controversie giudiziarie. Inscenato come suicidio, i suoi compaesani non hanno mai creduto alla tesi portata avanti inizialmente dalle forze dell’ordine: venne eletto simbolicamente al Consiglio comunale pochi giorni dopo il delitto. Solo nel 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato, in via definitiva, all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato.

Gli ultimi 55 giorni di Aldo Moro

Rimasto nell’immaginario collettivo come uno dei delitti più efferati delle Brigate Rosse, l’omicidio di Aldo Moro non ha colpito solo per la sua brutalità ma anche per il mistero che ancora lo avvolge.

Il presidente della Democrazia Cristiana, all’inizio del 1978, era il politico che più credeva in un governo di “solidarietà nazionale” che includesse anche il PCI. Ed è anche questa sua scelta politica ad infittire il mistero sulla sua condanna a morte. Far partecipare i comunisti all’amministrazione diretta dello Stato, infatti, era una tattica politica malvista dalle superpotenze mondiali – per ragioni diverse sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Sovietica - visto che si era in piena guerra fredda.

L’agguato – il 16 marzo 1978 la Fiat 130 con cui Aldo Moro si stava recando in Parlamento, venne intercettata e fermata da un comando delle Br. Uccisi tutti gli uomini della scorta - Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi – i brigatisti sequestrarono il presidente Moro.

Tenuto prigioniero nella “prigione del popolo” di via Camillo Montalcini per 55 giorni, Aldo Moro venne ripetutamente interrogato dal brigatista Mario Moretti, che registrava le conversazioni. Moro è stato ucciso con dieci colpi di pistola. Il suo corpo fu ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 il 9 maggio 1978, in via Catanei a Roma. La famiglia ha rifiutato i funerali di stato perché convinta che poco o nulla sia stato fatto a livello politico per salvare la vita del Presidente della DC. Il capo dei socialisti Bettino Craxi è stato l’unico esponente del governo a sostenere la necessità di avviare una trattativa con i terroristi per salvare la vita di Moro. È attraverso le lettere scritte dal presidente durante la prigionia - di cui è stata contestata l’autenticità dalla dirigenza politica promotrice della cosiddetta “linea della fermezza” e della necessità di non aprire le trattative con le Br – che oggi conosciamo molti dei retroscena che si celano dietro questo delitto eccellente.