In questi giorni, a causa di una sentenza della Corte di Cassazione, il nome di Totò Riina è tornato in modo prorompente a far discutere. Quello su cui ci si interroga è se sia giusto o no garantire una degenza ospedaliera ordinaria e priva di restrizioni al sanguinario stragista? È il caso di percorrere la natura dell'istituto comunemente detto 41-bis - la sua natura e le sue stringenti norme, che per molti anni hanno regolato la detenzione del capo dei capi - senza addentrarsi in temi squisitamente giuridici, ma percorreremo la natura dell’Istituto comunemente detto 41 bis.

La genesi storica dell'istituto del 41-bis

Il regime del carcere duro fu introdotto dalla legge n.354 del 1975. All'inizio, però, non fu pensato come uno strumento repressivo antimafia: aveva, invece, l'obiettivo di sedare i tumulti carcerari cercando di mantenere la quiete negli istituti, isolando dalla comunità chi poteva risultare pericoloso per la pace. Solamente dopo la terribile estate del 1992, in seguito ai massacri dei due giudici siciliani Falcone e Borsellino e delle loro rispettive scorte, lo Stato, per mano dell’allora guardasigilli Claudio Martelli, diede seguito al potere conferitogli dalla legge 356 del 1992, firmando i primi provvedimenti di 41-bis verso appartenenti a Cosa Nostra, invocando lo stato di massima allerta per le istituzioni detentive, attestando nelle prime pagine del decreto la presenza di gravi motivi di ordine pubblico, indicando la causa “nell’azione sempre più diffusa, aggressiva e spietata della criminalità organizzata”.

41-bis, un simbolo della lotta antimafia

Fu questo il momento storico in cui lo strumento di sospensione temporanea delle normali regole di trattamento detentivo ex art. 41 bis, divenne mediaticamente un simbolo di lotta antimafia, trasformandosi da istituto straordinario del diritto penitenziario in un istituto quasi ordinario e repressivo ricollegabile a determinate tipologie di reati.

E così se i primi provvedimenti impartiti avevano durata non inferiore ad un anno e non superiore a due, con la legge del 2009, n. 94, furono nuovamente ampliati i limiti temporali del 41-bis, arrivando ad oggi a una massima durata di quattro anni prorogabile più volte ogni due anni.

Le quotidiane regole del 41-bis

Il grande obiettivo a cui punta il carcere duro, ovvero la ratio della norma, è quella di spezzare i collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale, terroristica o eversiva di cui faceva parte prima di entrare in carcere.

Ne sono un esempio i colloqui, che possono in modo limitato avvenire solo con i propri familiari. Sono dunque vietati quelli con amici e conviventi. Tutti i rapporti interpersonali sono monitorati e registrati ad eccezione di quelli con il proprio legale. I beni, gli oggetti e il denaro provenienti dall’esterno sono assai limitati mentre la corrispondenza è sottoposta a visto di censura. La gestione degli spazi esterni da parte dell’internato è quasi sempre ad uso solitario, così come la cella priva di qualunque comodità prevista per i “normali” carcerati. Infatti, la televisione, la radio e i giornali possono essere concessi dopo un'attenta analisi, ma molto spesso vengono negati.

Il Presidente Bindi gela le richieste di Riina

"Viste le condizioni fisiche di Riina, sì imprevedibili ma al momento stabili, si potrebbe anche ipotizzare in futuro un rientro in carcere, dove comunque le condizioni sarebbero adeguate, identiche se non superiori a quelle di cui potrebbe godere in un regime di domiciliari. Questo gli consente lo svolgimento di una vita dignitosa, e di una morte, quando essa avverrà, altrettanto dignitosa. A meno che non si voglia affermare un diritto a morire fuori dal carcere, che non è supportato da nessuna norma". Questa la dichiarazione di Rosy Bindi, riportate da Repubblica, che comunicando al Parlamento l’esito della sua visita a Riina all’ospedale di Parma, ha dichiarato di averlo trovato con lo sguardo vigile, autosufficiente nei suoi bisogni primari e sempre ben supportato da un equipe medica.

Ora l'ultima parola sull'intera vicenda, spetta nuovamente al Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Il quale su rinvio della Cassazione sarà chiamato a verificare la conciliabilità del quadro clinico del detenuto con la vita carceraria, accertando che, la fattispecie, sia in linea con i principi costituzionali del nostro ordinamento.