Oggi 29 novembre 2017, la Corte d'Assise di Roma ha condannato i due uomini di origine afghana Mamur e Zar Jan a ventiquattro anni di carcere, ritenuti responsabili dell'omicidio della famosa giornalista del 'Corriere della Sera' Maria Grazia Cutuli, avvenuto il 19 novembre 2001 mentre la donna si trovava per un reportage a pochi chilometri dalla città di Kabul insieme ad alcuni colleghi. I due uomini afghani sono stati anche condannati ad un risarcimento ingente, pari a duecentocinquantamila euro, sentenza aggiuntiva emessa dal Presidente della Corte Vincenzo Capozza.

Dei due uomini si sapeva già che erano stati precedentemente reclusi nel carcere di Kabul, sempre in Afghanistan, probabilmente per terrorismo e per aver fatto parte di gruppi armati, probabilmente Al Quaeda.

La vicenda alle porte di Kabul, nel lontano 2001

All'epoca dei fatti la giornalista si trovava in Afghanistan da un mese con alcuni colleghi anch'essi reporter e ad alcuni collaboratori: lo spagnolo Julio Fuentes, l'australiano Harry Burton, l'afghano Azizullah Haidari e un interprete afghano.

Vennero attaccati da un gruppo di uomini armati con conseguenze, come sappiamo, tragiche. La donna italiana fu assassinata, così come i suoi colleghi ed i collaboratori. Sia a Kabul che a Roma, era stata aperta una inchiesta con l'esito a cui abbiamo assistito questa mattina.

La condanna a ventiquattro anni della Corte d'appello di Roma è stata emessa esclusivamente per Maria Grazia Cutuli, in quanto italiana. I due hanno ricevuto sentenze anche per le altre vittime del massacro del 19 novembre 2001, nei rispettivi paesi di provenienza degli altri giornalisti trucidati.

Le motivazioni probabili dell'omicidio

Il gruppo di giornalisti di cui faceva parte Maria Grazia Cutuli stava effettuando un reportage di enormi proporzioni nella zona vicina alla città di Kabul riguardo ad alcune cellule di Al Quaeda che in quella zona era stata attaccata dall'esercito americano. Durante questa 'investigazione' trovarono molteplici fialette di Sarin, il gas nervino utilizzato per un attentato alla metrò di Tokyo.

Precisando, si tratta dello stesso gas nervino utilizzato contro la popolazione siriana negli ultimi anni di guerra civile in Siria, che ha contato finora centinaia di migliaia di morti, fra uomini, donne, anziani e bambini e che purtroppo non ha ancora trovato una conclusione pacifica.