Tristezza, sconforto, dispiacere e rabbia sono questi i sentimenti che si provano alla notizia della scomparsa di una persona, chiedendoci in un primo momento perché la vita possa essere così ingiusta, passiamo poi all’accettazione. Senza dubbio, questi non sono i sentimenti provati dalle famiglie delle vittime mietute dal famigerato boss, mente di Cosa Nostra, fino all’ arresto nel 1992 - si dice che lo fosse tuttora-, Salvatore Riina, da tutti conosciuto come Totò.
Dal carcere all'ospedale, sempre al comando
Considerato ancora ai vertici del clan mafioso, Riina, condannato a scontare 26 ergastoli, si è spento nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma lo scorso 17 novembre all’ età di 87 anni.
Riina soffriva da anni di problemi cardiaci, che lo avevano portato prima nel 2003 poi nel 2006 ad abbandonare la sua cella per le corsie dell’ospedale.
Le stime ufficiali contano che durante la sua "carriera", il boss abbia commesso circa 100 omicidi, impossibile dimenticare quelli dei due giudici Falcone e Borsellino, che della lotta alla mafia avevano fatto del loro pane quotidiano, il proprio credo, come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso nel 1982, o le vittime della strage di via Georgofili a Firenze, un anno dopo la morte di Falcone e Borsellino, quando Riina pur essendo già stato incarcerato, ordinò la strage per intimare le istituzioni ad abolire il regime carcerario alla quale era stato condannato: il 41 bis, riservato ai criminali mafiosi.
La dichiarazione delle figlia
Mentre la famiglia di Riina chiede e pretende rispetto per la morte del patriarca, le famiglie delle vittime non dimenticano gli orrori sopportati dai loro cari per mano del boss. Ad alimentare il fuoco della giustizia, anche la dichiarazione della figlia di Riina, Maria Concetta. Entrando all’istituto di medicina legale di Parma, per far visita alla salma del padre, ha inveito contro i giornalisti accorsi numerosi per documentare l’evento, con un frase che risuona alle orecchie dei più come un paradosso, come una macabra presa in giro : “Vi denuncio, dovete aver rispetto per il dolore della famiglia”.
La lotta non deve finire qui
Il silenzio in questo caso, sarebbe stato sicuramente più rispettoso, nei confronti di quelle persone che vanno avanti giorno dopo giorno portandosi dietro un lutto senza pace, un lutto a cui non c’è un perché, se non la disperata voglia di potere di un Boss mafioso che ha preteso per anni di controllare le istituzioni del nostro paese, riuscendoci, a volte.
Dare una risposta a quelle famiglie stremate da anni di ricerca della verità, adesso, è compito di quelle istituzioni, che volenti o nolenti non hanno fatto abbastanza per fermare l’ascesa di Totò Riina.
Con la morte di Riina le famiglie delle vittime non possono sentirsi soddisfatte per i loro cari, accettarlo equivarrebbe ad una vittoria mutilata, mentre è importante che l’uscita dalla scena del boss di Corleone non determini affievolimento della lotta alla mafia.
Come ha dichiarato recentemente Laura Boldrini, presidente della Camera: ”La morte di Riina non vuol certo dire la fine delle mafie. Bisogna continuare a contrastarla con tutte le forze spiegando alla gente che la mafia fa sempre male, anche quando sembra risolvere certi problemi. Invece la mafia è la causa del sottosviluppo di interi pezzi di società".