Arezzo- I fatti risalgono a settembre del 2014. Ai margini di di via Duccio da Buoninsegna una donna completamente avvolta dalle fiamme si dimena. Una scena straziante e sconvolgente a cui assiste, e per cui testimonierà in tribunale Leonardo Mastrascusa, un barista del luogo. Sarà sempre lui a tentare di soccorrere la donna, ridotta a torcia umana che troverà dopo quindici giorni di atroci differenze la morte.

Fu arrestato a poca distanza e a poche ore dal fatto il suo compagno, anche lui rumeno Guran Bunomi. Entrambi erano privi di fissa dimora e vivevano alla giornata.

Le ultime parole di Maria: 'È stato mio marito'

Questa tragica vicenda si svolse nell'ultimo giorno della Festa del Mestolo del 2014. Un giorno che doveva essere ricordato come un momento di gioia e svago per la città, divenne, per molti, un trauma che ancora oggi, anche per la sentenza che ne è scaturita, ricordano con orrore. Le sirene della polizia e dell'ambulanza quel giorno si inserirono con irruenza nel clima di festa. Maria Marin, nonostante stesse letteralmente bruciando viva, era riuscita a rifugiarsi in un bar e a chiedere aiuto. Con l'ultimo brandello di voce, rivolgendosi proprio al barista, disse che a ridurla così era stato il suo compagno.

L'iter processuale

L'uomo inizialmente negò tutto, dichiarandosi estraneo al fatto e che Maria aveva compiuto il gesto da sola.

Nel 2015 l'uomo fu processato e il giudice Ponticelli lo condannò per omicidio volontario non credendo alla sua versione dei fatti. Solo in seguito Buran Bunomi ammise di aver cosparso la donna di benzina e di averle dato fuoco con un accendino ma non con l'intento di ucciderla, ma solo per farle del male. Ed è a questo punto che, in appello, la sentenza emessa nel 2016 destò molto scalpore: l'uomo venne condannato per omicidio preterintenzionale e la sua pena viene ridotta.

In pratica venne avvallata la parola dell'uomo che dichiarò di non aver avuto mai l'intenzione di ucciderla ma solo di causarle dolore.

Una decisione che sicuramente non trova d'accordo il figlio della donna che da anni, per vie legali, cerca giustizia per la madre, morta presso l'ospedale di Genova dopo due settimane di inenarrabili sofferenze dovute alle profonde ustioni rinvenute su tutto il corpo.

Il figlio, costituitosi parte civile, ha chiesto alla cassazione che il processo venga rifatto, mentre la difesa dell'uomo ha chiesto la conferma dei 10 anni dati in sede d'appello.

A questo punto sarà la suprema corte a dover decidere ed è per questo che sono ora riuniti in consiglio. Una decisione molto delicata, perché potrebbe creare dei precedenti importanti a favore o contro le vittime di questo tipo di crimine.