La sindrome della capanna (o del prigioniero) potrebbe non rendere così facile il nostro ritorno alle attività quotidiane. Se finalmente da un lato le cose continueranno ad andare per il verso giusto ed i contagi a diminuire, e nel mese di maggio vedremo lentamente allentare le restrizioni che, a causa del Covid-19, ci hanno tenuti per lo più segregati nelle nostre case (e spesso anche lontano dai nostri più grandi affetti), dall'altro lato non tutto, specie a livello psicologico, potrebbe essere così semplice. Se all'inizio eravamo destabilizzati all'idea di essere privati, anche se per un giusto motivo, della nostra libertà di spostamento, e la cosa ci rendeva ansiosi, ora potrebbe succedere il contrario.

Ci sono, infatti, persone che provano un senso di inadeguatezza e ansia nel tornare alla solita vita.

La sindrome della capanna (o del prigioniero)

Questa sensazione ha un nome, ovvero la sindrome della capanna o del prigioniero, ed è stata spiegata al noto giornale spagnolo El País, da Timanfaya Hernández, del Collegio Ufficiale di Psicologi di Madrid che stanno notando un grande numero di persone che sono stressate e rifiutano di uscire di nuovo. Un po' come se si fossero ricavate una nicchia sicura e, data anche l'aria di incertezza (per il lavoro, le modalità di spostamento, ecc) ora hanno paura di abbandonarla.

Con il termine sindrome del prigioniero o della capanna, si intende il voler evitare contatti con le altre persone o gli spostamenti in luoghi differenti, dopo un lungo periodo di isolamento, come è accaduto in Italia e in quasi tutti gli Stati del mondo a causa della pandemia.

Questa sindrome che crea molta curiosità, specie in questo particolare periodo storico, è stata studiata per la prima volta negli Stati Uniti, osservando alcuni detenuti che uscivano di galera dopo lunghi periodi di detenzione. In loro si percepiva una profonda incertezza, quasi una paura, e può accadere anche a persone che sono rimaste ricoverate in ospedale per lungo tempo.

Un po' come se temessero il mondo "al di fuori" di qualcosa che comunque, in circostanze di pericolo, li ha protetti. Questa reazione è certamente stata messa in moto anche dentro qualcuno di noi, dopo la quarantena per il coronavirus.

Superare il trauma della sindrome della capanna

A raccontare cos'è la sindrome della capanna è anche la psicologa Laura Guaglio al magazine Vice.

La dottoressa è specializzata in eventi traumatici e nel loro superamento e spiega che quella che prima era la normalità, ora è divenuta un disagio e può creare una certa inadeguatezza. Molti i fattori che incidono, ma, spiega la dottoressa, il fattore principale è che proveniamo tutti da un stress post traumatico. Nel bene o nel male, in tempi anche molto brevi abbiamo dovuto cambiare il nostro modo di vivere e di vedere il mondo. Potrebbe essere un disagio temporaneo, ma è qualcosa di cui tenere seriamente conto.

Questi 57 giorni di isolamento hanno portato molti cambiamenti non solo per la vita che verrà, ma anche dentro di noi. La consapevolezza dei nostri disagi e la voglia di condividerli e parlarne con professionisti potrebbe essere una soluzione efficace per prenderci cura anche della nostra Salute psichica.