In determinate condizioni, il cervello vive fuori del corpo anche se solo per poche ore. Cose dell'altro mondo, calate dal regno della fantascienza nella realtà. Lo dimostra un esperimento che farebbero impallidire il dottor Frankenstein, personaggio letterario che tentava di riportare cadaveri in vita. Un gruppo di ricercatori della yale University negli Usa, per la prima volta è riuscito a tenere in vita per 36 ore consecutive alcuni cervelli di maiali fuori dal corpo degli animali. Cosa significa tutto questo? Che orizzonti delinea? Probabilmente cambia drasticamente l'accezione scientifica di morte e potrebbe dare avvio alla possibilità di studiare in maniera nuova malattie come Alzheimer e tumori.

L'esperimento

Finora la mancanza di segnali elettrici è stata considerata prova di morte cerebrale. Con l'esperimento appena fatto su 200 cervelli ottenuti da un mattatoio è accaduto qualcosa senza precedenti. I cervelli sono stati rianimati a quattro ore dalla morte con una nuova tecnica di irrorazione sanguigna chiamata 'BrainEx' che ha consentito di tenere in vita le cellule. I cervelli sono stati collegati a un circuito di tubi in cui scorreva sangue artificiale a una temperatura corporea uguale a quella dell'animale vivo per far fluire l'ossigeno nel cervello. Se l'elettroencefalogramma ha misurato un'onda cerebrale piatta, come quella di chi sia in coma, i neuroni e le cellule nervose sono risultati attivi.

L'esperimento presentato in occasione di un convegno sulle neuroscienze organizzato dal National Institutes of Health, non è ancora stato pubblicato su una rivista scientifica. Le cellule vive potrebbero essere usate per studiare il funzionamento del cervello, alcune malattie e sperimentare farmaci. Intanto la comunità scientifica si è subito mobilitata: 17 fra neuroscienziati e bioeticisti hanno avviato un dibattito.

Si interrogano sulle nuove regole da stabilire per condurre esperimenti sul cervello umano.

Nuove frontiere?

Dopo questo esperimento sarà possibile studiare la connessione tra le cellule cerebrali, andrà rivisto il concetto di morte. Ma c'è chi invita a frenare l'entusiasmo perché finora non è stato mai pensabile fare un trapianto di cervello e c'è chi dubita che l'esperimento possa essere replicato negli esseri umani.

Ma si potrebbero studiare terapie per tumori cerebrali o patologie neuro-degenerative come l’Alzheimer. 'Ipoteticamente se qualcuno prendesse in mano questa tecnologia e la migliorasse fino a riuscire a ripristinare l’attività elettrica del cervello, questo significherebbe ripristinare un essere vivente. E se dovesse emergere che quel cervello avesse una memoria, io penso potrei impazzire del tutto', ha dichiarato con grande slancio Nenad Sestan, il neuroscienziato a capo dell'esperimento.

Antichi precedenti e ispirazioni letterarie

La manipolazione della materia nel tentativo di sconfiggere la morte è un capitolo importante della storia scientifica. Uno scienziato bolognese, Giovanni Aldini, tra '700 e '800 svolse esperimenti spettacolo che gli valsero il soprannome di dottor Frankenstein italian, perché agiva sui cadaveri con l'elettricità per riportarli in vita.

E così, per azione degli stimoli elettrici, un cadavere parve ricominciare a respirare e il suo cuore a battere, ma il cervello era ovviamente morto. Per lo shock l'assistente dello scienziato morì d'infarto. Per creare il suo notissimo personaggio di Frankenstein, la scrittrice Mary Shelley si ispirò a lui. Ora la scienza, ben oltre le invenzioni letterarie, propone al mondo questa nuova inquientante lusinga: la ricerca dell'immortalità cerebrale.