Si è diffusa nei giorni scorsi la notizia poco confortante riguardante il primo caso di contagio da vaiolo delle scimmie in Europa, una particolare malattia simile al vaiolo comune ma, fortunatamente, con un tasso di mortalità inferiore. La questione continua a destare preoccupazione, soprattutto dopo la notizia del trasferimento dell'uomo, che ha contratto il virus in Nigeria, nel reparto malattie infettive del Royal Free Hospital di Londra.

A far luce sul caso, ci ha pensato un importante infettivologo che ha rilasciato alcune dichiarazioni al quotidiano Il Mattino. Si tratta di Massimo Galli, nonché Presidente degli infettivologi della Simit, cioè la società italiana che si occupa delle malattie infettive e tropicali, che ha voluto chiarire che al momento non esiste alcuna cura così come alcun vaccino contro questo tipo di disturbo.

Le dichiarazioni dell'infettivologo Massimo Galli

Durante le sue dichiarazioni, Massimo Galli ha dichiarato come i viaggi in aereo siano in grado di portare una malattia dalla più profonda foresta ad una grande città nel giro di poche ore.

C'è da dire però che si può contare su uno strumento di protezione per l'intera popolazione, ovvero una rete molto attiva di specialisti che sono in grado di scoprire questa e tante altre malattie infettive. Stando alle informazioni fornite dall'infettivologo, il virus del vaiolo della scimmia è un Orthopoxvirus, cioè fa parte della stessa famiglia del virus del vaiolo umano ma, a differenza di quest'ultimo che è mortale, in questo caso c'è una probabilità di morte inferiore al 10%.

L'epidemia negli Stati Uniti del 2003 non ha riportato gravi conseguenze

Come spiegato anche da Massimo Galli, questo tipo di virus è stato scoperto nella scimmia nel 1958. Purtroppo però non è stato identificato il serbatoio animale principale.

Tra le varie tipologie di animali implicati, infatti, ci sono anche gli scoiattoli, varie razze di scimmie e roditori. Nei casi di vaiolo delle scimmie che sono stati riportati in Africa, la letalità è tra l'1 e il 3% ed è più alta soprattutto tra i bambini. Inoltre, nel 2003, si è verificata un'epidemia negli Stati Uniti causata dall'importazione di esemplari infetti di Cricetomys gambianus, ovvero dei grossi ratti che venivano venduti come animali da compagnia. Ottantuno persone, infatti, hanno presentato la malattia, ma fortunatamente non si sono registrati decessi. Pare, inoltre, che anche la probabilità che si vengano a creare dei casi secondari di trasmissione della malattia sia al momento piuttosto bassa.