Venerdì 15 ottobre 1943. Roma, ghetto ebraico, è sera. Piove. Una donna vestita di nero arriva di corsa dal quartiere di Trastevere: trafelata, stanca e impaurita racconta di aver saputo, dalla moglie di un carabiniere, che il marito ha visto un tedesco con in mano una lista di 200 capi famiglia ebrei da rastrellare.

Prova ad avvertire gli ebrei che le si avvicinano del pericolo imminente l'indomani. Ma nessuno credette alle sue parole: la Celeste, questo il suo soprannome, abita a Trastevere ma nel ghetto ha molti parenti. Tuttavia ha la fama di essere una chiacchierona, e anche un po’ fanatica, oltre ad avere un figlio strano.

"Credetemi! Scappate, vi dico", supplica la donna. "Vi giuro che è la verità sulla testa dei miei figli!". E seguono grida, pianto, subentra la disperazione per il fatto di non essere creduta. Molti ebrei tornano a casa e commentano tra loro la vicenda, sicuri che è soltanto la fantasticheria di una pazza. Forse che la signora non avesse confuso un evento accaduto circa tre settimane prima quando il Maggiore Kappler minacciò il prelevamento di 200 ebrei romani?

Furono chiesti 50 chili d'oro in cambio della libertà

Tra le persone prevale fiducia, non prestano fede al racconto di una donna che li mette in guardia dai nazisti: si sentivano protetti e rassicurati dai tedeschi da quando, la domenica di quel 26 settembre, avevano convocato il Presidente della Comunità Israelitica e il Presidente dell’Unione delle Comunità Italiane.

Fu Herbert Kappler a riceverli, comandante dell'SD, della SiPo e della Gestapo a Roma e chiese loro 50 chilogrammi d'oro entro due giorni: altrimenti avrebbe catturato 200 di loro.

Presso un’ufficio della Comunità nei pressi della Sinagoga viene istituto un centro di raccolta: alle prime ore del giorno dopo la raccolta procedette lentamente, poi il Vaticano comunica che può mettere a disposizione 15 chilogrammi d’oro in caso di eventuale bisogno, e tra i romani tutti si sparge la voce.

Molti di loro arrivano per donare oro, l’affluenza è consistente. Alle 11 di martedì mattina il quantitativo venne raggiunto.

Alle ore 18 tre automobili raggiungono il Lungotevere Sanzio, caricano l’oro e insieme a loro salgono i rappresentanti della Comunità ebraica, due orafi e una scorta di agenti. Arrivati a Villa Volkonski, Kappler non riceve formalmente la delegazione e fa annunciare tramite una sua segretaria che la taglia era da consegnare a Via Tasso, via adiacente, in cui ha sede il comando di Polizia di Sicurezza, dalla quale dipendeva la Gestapo.

Al comando di via Tasso il Capitano Schultz è assistito da un orafo e un pesatore e conta minuziosamente, l’oro consegnato in 10 scatole contenenti 5 chilogrammi ciascuna. I tedeschi accusano che sono solo nove scatole ma poi in un secondo conteggio verranno smentiti. Nonostante la richiesta della controparte ebraica, non lasciano ricevuta alcuna di questa consegna. Il pericolo sembra scampato.

Il rastrellamento

"1. Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti.

2. Bisogna portare con sé: a) viveri per almeno otto giorni; b) tessere annonarie; c) carta d'identità; d) bicchieri. 3. Si può portare via: a) valigetta con effetti e biancheria personale, coperte; b) denaro e gioielli. 4. Chiudere a chiave l'appartamento e prendere con sé le chiavi. 5. Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo. 6. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza".

Con questo biglietto all'alba del 16 ottobre si presentano al Ghetto ebraico, il quartiere più popolato di ebrei: nelle vie c'erano ufficiali, le sentinelle armate ad ogni angolo di strada che controllavano ogni via di fuga.

Ma non era l'unico quartiere di Roma in cui i tedeschi quel giorno passarono per caricare ebrei sui loro camion.

L'elenco base, la lista che consentiva alle autorità tedesche subentrate a Roma dopo l'8 settembre aveva come fonte il censimento speciale condotto nell'agosto del 1938 dal Ministero dell'Interno, Direzione Generale per la Demografia e Razza, che venne costantemente aggiornato dalle prefetture periferiche.

Dopo essere radunati in via del Portico d'Ottavia vicino a delle vecchie rovine archeologiche, davanti alla chiesa di S. Angelo in Pescheria: gli ebrei pazientarono il proprio turno per essere condotti a bordo di un camion alla loro prima destinazione, il Collegio Militare sito in via della Lungara.

Erano in totale 1259: più di 200 loro vennero liberati, si trattava di coniugi e di figli di matrimonio misto e di non ebrei. La sorta per i restanti fu diversa.

Il ricordo di Settimia Spizzichino

"Ci portarono in un grande aula. Restammo lì per molte ore. Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione; che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portati a lavorare? E dove? Ci avrebbero internati in un campo di concentramento? "Campo di concentramento" allora non aveva il significato terribile che ha oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra"

Trascorsero in un grande locale la notte, ammassati e in pessimo stato, fino al giorno dopo.

La domenica del 18 ottobre vennero portati alla stazione Tiburtina: qui vennero caricati su un convoglio composto da 18 carri bestiame. Erano in 1023 persone. La destinazione del treno era Auschwitz.

"Ci fecero scendere alla Stazione Tiburtina. Fummo spinti su un treno che sostava su un binario morto; ci caricarono sui carri bestiame. E quando fummo saliti li chiusero e li piombarono" ricorda Settimia, l'unica donna sopravvissuta di quel rastrellamento, insieme ad altri 15 uomini.

Dopo la deportazione molti altri ebrei romani vennero arrestati e deportati, grazie al lavoro di spie e delatori che in cambio di soldi fornivano ai comandi tedeschi i nominativi e gli indirizzi degli ebrei scampati fino a quel momento alla cattura.

L'inferno per gli ebrei romani finì soltanto il 4 giugno 1944 con la liberazione della città. Per l'Italia ancora non liberata l'inferno della guerra civile e della deportazione sarebbe continuato ancora per mesi.

A 75 anni dal rastrellamento degli ebrei romani, occorre sempre più ricordare e non dimenticare quello che è stato: una grande lezione di memoria ce l'ha data Alberto Angela, una lezione in negativo il ministero dell'Istruzione che vorrebbe cancellare un piccolo e prezioso strumento, quale il tema storico, che affonda le radici nel nostro passato, nel nostro essere uomini e testimoni e non semplicemente spettatori paganti.