Il drago ha 'divorato' il marchio D&G. Sembrerebbe questo l'esito di una guerra 'lampo', ideologica e culturale, che ha contrapposto gli stilisti Dolce e Gabbana alla Repubblica popolare cinese. Non alla temutissima censura di Stato, ma a quella esercitata da milioni di internauti cinesi indignati. Il Paese con la crescita economica più rapida al mondo, il secondo sulla terra per Pil e potere d'acquisto, il più grande esportatore e importatore di merci, non ha innalzato una nuova muraglia nei confronti dei due stilisti italiani, ma li ha proprio boicottati.
Da ieri il marchio è scomparso dai grandi portali del commercio on line con gli occhi a mandorla che muove cifre da capogiro. Responsabile dell'incidente diplomatico, una campagna pubblicitaria giudicata dal 'tribunale' dei social cinesi razzista e sessisista, stereotipata, non rispettosa della cultura del Paese.
Dolce & Gabbana: milioni di utenti contro tre video
Tutto è cominciato con la diffusione sui social di un videoclip in tre versioni con il quale gli stilisti volevano promuovere una sfilata che si sarebbe dovuta tenere a Shanghai. Nello spot, una modella asiatica cerca di mangiare con le bacchette cibo italiano: spaghetti, pizza e un cannolo. Le immagini hanno indignato utenti asiatici che le hanno giudicate stereotipate nel parlare della cina e ai cinesi, oltre che sessiste.
Il maggior dissenso l'ha provocato il video incentrato sul cannolo, accusato oltre che di razzismo, di bieco sessismo. La ragazza asiatica prova a mangiare con le bacchette un cannolo in formato over size e una voce maschile fuori campo le dice: "E' troppo grande per te"?.
Il video è stato rimosso da Weibo, piattaforma popolarissima in Cina equivalente a Twitter, dopo aver scatenato nove milioni di commenti, mentre su Instagram è ancora visibile.
Dopo che personalità dello star system cinese hanno dato forfait, la sfilata evento 'The great show' che era in programma ieri a Shanghai è saltata. Che sia stato per volere di D&G o dell’Ufficio per gli affari culturali della città, non è ancora chiaro. Ma questo è ancora niente rispetto a quello che è successo di lì a poco.
D&G tra polemiche, hacker e boicottaggi
"D’ora in poi in tutte le interviste che faccio, dirò che la Cina è un paese di m***a". La frase di Stefano Gabbana (che però ha denunciato un presunto hackeraggio) ha scatenato un pandemonio fino a sfociare in aperte ostilità. E' accaduto infatti che Diet Prada, account di Instagram e 'cane da guardia' delle case di Moda, abbia criticato la campagna pubblicitaria degli stilisti e fatto trapelare i messaggi privati che erano intercorsi tra Gabbana e una collaboratrice dell'azienda.
Tra gli insulti attribuiti allo stilista, la Cina definita "una mafia maleodorante, sporca e ignorante", l'aver detto che i cinesi mangiano i cani, sono loro a sentirsi inferiori, e non il marchio D&G a essere razzista.
Definizioni di cui, a giochi fatti, lo stilista ha disconosciuto la paternità attribuendole appunto a un'azione di hackeraggio.
"Il nostro ufficio legale sta indagando con urgenza. Siamo molto dispiaciuti per qualsiasi sofferenza causata da questi post non autorizzati. Non abbiamo altro che rispetto per la Cina e per il popolo della Cina", è stato annunciato sull'account Instagram della casa di moda milanese in un messaggio comparso anche in lingua cinese. Ma a quel punto l'incidente diplomatico era andato troppo oltre. In poche ore, da ieri sera, i prodotti della casa di moda sono spariti dai principali siti di e-commerce cinesi quali Tmall, JD.com e Suning.
Tutto ciò in termini economici potrà avere conseguenze tutt'altro che marginali, se è vero che l'Asia rappresenta per il marchio più del 30% della sua quota di mercato.
Non è la prima volta che la casa di moda incappa in un simile incidente diplomatico: già nel 2017 era stata accusata di razzismo per una precedente campagna pubblicitaria in cui, in una Pechino povera e degradata, la sola cosa bella erano proprio i modelli vestiti D&G. Ma ora la censura dell'indignazione collettiva social ha arrestato la 'marcia' del marchio in Cina.