Si è sempre dichiarata innocente. Condannata nel 2008 a 16 anni di reclusione perché ritenuta responsabile dell'omicidio del figlio di tre anni, Samuele Lorenzi, ucciso nella casa familiare di Cogne nel 2002, oggi Annamaria Franzoni è una donna libera.

Secondo quanto riferito dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna all'Ansa, la sua pena è stata espiata con tre mesi d'anticipo grazie alla buona condotta, e da qualche settimana è tornata ad essere una libera cittadina. La sua storia scosse non solo il comune valdostano dove accadde l'efferato delitto, ma l'Italia intera spaccata tra innocentisti e colpevolisti.

Annamaria Franzoni, condanna e vicenda carceraria

La sera del 21 maggio 2008, Annamaria Franzoni è stata condannata in via definitiva dalla Cassazione che ha confermato la sentenza della Corte d'Appello di Torino.

Trascorsi sei anni di detenzione, nel 2014, dopo che una perizia psichiatrica sostenne che non avrebbe potuto più commettere il delitto di 12 anni prima, le sono stati concessi gli arresti domiciliari a Ripoli Santa Cristina, paese sull'appennino bolognese. Poteva uscire di casa per quattro ore al giorno per fare la spesa e svolgere attività quotidiane. Una condizione in cui è rimasta per quasi cinque anni, avendo il marito Stefano e i figli sempre accanto. Già in precedenza, grazie alla buona condotta, ha potuto beneficiare di alcune misure quali la possibilità di lavorare in un laboratorio di sartoria di una cooperativa sociale, avere permessi per stare a casa con i due figli.

Di fatto, i 16 anni di condanna sono stati ridotti a meno di 11, grazie a tre anni di indulto e ai giorni concessi di liberazione anticipata. Come ha chiarito Paola Savio, legale della Franzoni, il fatto non deve suscitare meraviglia. La fine anticipata della pena, è il risultato di un semplice calcolo matematico: i benefici di legge prevedono fino a 45 giorni di sconto di pena per ogni semestre di detenzione, vale anche quella domiciliare.

Delitto di Cogne, non ha mai confessato

Annamaria Franzoni ha sempre proclamato la sua innocenza e non ha mai confessato di aver ucciso il figlio. Fu proprio lei, la mattina del 30 gennaio 2002 a chiamare il centralino valdostano del 118: sosteneva di aver trovato suo figlio Samuele di tre anni nel letto matrimoniale che sputava sangue e non respirava.

Diceva di averlo lasciato solo in casa pochi minuti, giusto il tempo di accompagnare l'altro figlio, Davide, alla fermata dell'autobus.

I soccorritori, giunti sul posto, trovarono il bambino in una pozza di sangue: portava i segni di una feroce violenza e morì durante il trasporto in eliambulanza verso l'ospedale di Aosta.

Come poi appurò l'autopsia, era stato ucciso con 17 colpi alla testa. Dopo un mese e mezzo dalla morte di Samuele, l'esame degli schizzi di sangue sul pigiama della donna, sugli zoccoli e sulla scena fu ritenuto decisivo per dimostrare la colpevolezza della madre. Franzoni fu arrestata il 14 marzo 2002 con l'accusa di omicidio volontario. Ma l'arma che fracassò il capo al bambino, forse un utensile di casa Lorenzi o un attrezzo da giardinaggio dotato di manico, non è mai saltata fuori malgrado siano stati fatti ripetuti sopralluoghi.

Inoltre dai ripetuti accertamenti della polizia scientifica, non risultò esserci alcuna prova della presenza di estranei nella villetta di Cogne.

Tra i misteri del caso, anche il movente mai accertato oltre le ipotesi di pianti o capricci del piccolo sgraditi alla madre. Lei, lo stesso giorno del delitto chiese al marito che non l'ha mai abbandonata, di fare un altro figlio: un anno dopo il delitto, mentre era già implicata nella vicenda giudiziaria, nacque il terzo figlio, Gioele. Condannata il 20 luglio 2004 in primo grado al massimo della pena, 30 anni di reclusone, non andò in carcere per accudire il piccolo Gioele. Poi la condanna in secondo grado, confermata dalla Cassazione, a 16 anni.

Dal momento del fatto, il caso è sempre stato di pubblico interesse. Per anni, oltre a un processo giudiziario, ce ne è stato uno mediatico, favorito dalle apparizioni televisive della donna per proclamare la sua innocenza.