Un vicenda che presenta ancora molti lati oscuri ed un cadavere che sembra scomparso nel nulla. Eppure, dopo anni di indagini, è stata formalmente chiusa l’inchiesta sulla morte dell’imprenditore Mario Bozzoli, di 50 anni, ucciso con ogni probabilità la sera dell’8 ottobre 2015 all’interno della sua azienda, una fonderia di Marcheno, in Val Trompia in cui si realizzavano lingotti di ottone. Per il procuratore generale di Brescia, Pier Luigi Maria Dell’Osso si tratterebbe di un omicidio premeditato a lungo e compiuto da Giacomo ed Alex Bozzoli, 33 e 40 anni, figli di Adelio, il fratello maggiore della vittima.
Quindi i due avrebbero fatto sparire il corpo dello zio, per cancellare tutte le prove dell'assassinio. Inoltre due operai dell’azienda, il senegalese Aboagye “Abu” Akwasi e l’italiano Oscar Maggi, sono accusati di favoreggiamento per la loro reticenza con gli inquirenti.
La continue liti in azienda per motivi economici
Va ricordato che l’avviso di chiusura delle indagini non comporta automaticamente una richiesta di rinvio a giudizio. Nei prossimi giorni toccherà alla difesa muoversi con la possibile richiesta di un nuovo interrogatorio per i due fratelli che si sono sempre dichiarati del tutto estranei alla scomparsa di Mario Bozzoli. Secondo i magistrati, invece, il movente del delitto appare chiaro ed è da ricercarsi nei tanti litigi per ragioni economiche tra coloro che condividevano la gestione dell’impresa di famiglia.
Si discuteva sui progetti futuri, sulla gestione finanziaria della ditta e sulla nuova azienda realizzata a Bedizzole da Adelio per diversificare la produzione, la cui creazione aveva avuto grandi ripercussioni sulla vecchia fonderia, caratterizzata dal capitale equamente diviso fra i due fratelli. Minacce, rancori crescenti ed una forte avversione personale avrebbero portato i due giovani rampolli a pianificare il delitto.
Non esistono prove schiaccianti, ma solo indizi di colpevolezza
Inoltre è stato escluso, come pure si era ipotizzato, che Mario Bozzoli sia stato ucciso spingendolo in un forno della fabbrica. Tutte le analisi eseguite dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo hanno dimostrato l’assenza di tracce del DNA della vittima in quei luoghi.
Tuttavia dai numerosi documenti prodotti dagli inquirenti emergerebbe come ci si avvii ad un procedimento sostanzialmente indiziario che porterà ad un processo lungo e difficile. Infatti mancano prove inconfutabili che possano incastrare i responsabili, ma ci si baserà su una lunga serie di indizi, pazientemente riordinati dai sostituti Silvio Bonfigli e Marco Martani. E poi sulle numerose testimonianze come quella di Irene, la moglie della vittima, che ha raccontato agli inquirenti della paura di Mario nei confronti dei nipoti. Altre persone hanno confermato che i due, da tempo iscritti nel registro degli indagati, nutrivano un forte odio verso lo zio e diverse volte avrebbero anche accennato alla possibilità di ucciderlo.
Tra questi persino un dipendente della fonderia che ha ricordato come una volta uno dei due indagati gli avesse promesso del denaro se avesse picchiato Bozzoli.
Infine, non si escludono collegamenti con la morte dell’operaio Giuseppe Ghirardini, che era nella fabbrica il giorno del delitto. L’uomo, avvelenato con una fiala di cianuro, è stato trovato dieci giorni dopo la scomparsa di Mario nei i boschi della Valcamonica. I magistrati che seguono il caso parlano di una possibile istigazione al suicidio anche se al momento non esiste alcun elemento che possa dimostrare questa congettura.