Quattro anni fa moriva Mario Monicelli, il celebre regista di Guardie e ladri, I soliti ignoti, La grande guerra e L'armata Brancaleone. Alcuni lo definivano l'Honorè de Balzac del Cinema, colui che più di tutti seppe usare la settima arte per rappresentare vizi e virtù degli uomini e per raccontare l'Italia e gli italiani del dopoguerra.
Il maestro della commedia all'italiana se ne era andato a modo suo dopo aver già iniziato a combattere contro un tumore alla prostata in fase terminale. Ma non è stato un suicidio. A 95 anni Monicelli da parte sua ha portato avanti i suoi ideali, in cui credeva fermamente, fino in fondo.
Comunista, ateo, ma amante e abile divulgatore della vita e delle sue vicende, il pluripremiato regista è stato lucido fino in fondo e anche se critico verso l'Italia , era rimasto sempre vicino al paese che aveva saputo raccontare.
Aveva detto qualche anno fa rivolgendosi ai giovani:"Non c'è alcuna speranza di riscatto per il Paese. Il vero problema non è tanto la classe politica, che è una minoranza, ma questa generazione, che manda giù tutto senza protesta, cullandosi sulle promesse". E come non dargli ragione? Monicelli, che pure dalla fame e dalla miseria italiana del dopoguerra aveva saputo costruire i tratti essenziali del cinema che hanno accompagnato la rinascita economica del paese, si era accorto della crisi non solo economica, ma sociale, che ha colpito il nostro paese.
E aveva elogiato infatti proprio quei registi che, così come lui, raccontano l'Italia. "Sorrentino, Garrone, Marra, Tornatore, Veronesi" diceva "sono registi italiani che fanno buoni film".
Ma l'ultimo dei suoi film, di cui veramente poco si è parlato, è stato "Le rose del deserto", girato a novant'anni, in Tunisia, in condizioni ambientali eroiche per una persona della sua età.
La trama vede come protagonisti i militari italiani di una sezione sanitaria del Regio Esercito abbandonata a se stessa dopo la disfatta italo-tedesca della Campagna del Nordafrica, nel 1943. I militari, costretti in una ripiegata insensata tra le dune desolate del deserto, perdono il rigore formale rappresentato dai gradi delle loro divise e dimostrano di essere uomini, oltre che soldati, con le loro debolezze e le sofferenze.
Ma quei soldati sono soprattutto italiani, che, merito del genio di Monicelli, si trovano, quasi a voler fare un paragone con i tempi di oggi, dispersi nel deserto senza una guida, affranti da vicende umane e da quella miseria che sa di attuale.
Aveva detto il regista a proposito: "Gli italiani, nonostante a volte siano costretti a vivere in condizioni davvero miserabili, alla fine riescono sempre ad avere uno spirito giocoso, di amicizia, di creatività. Questo vedo negli italiani di oggi"