Quest’esemplare del genere noir all’americana prima maniera s’apre con una magistrale sequenza che presenta l’eroe, lo scontroso attore Sterling Hayden, in via indiretta: cioè attraverso una voce off che fornisce l’identikit di un ricercato attraverso il gracchiare sulle onde corte d'una radio a bordo d'una volante della polizia, di pattuglia in una non meglio precisata periferia d’America.

Il nostro eroe, il ricercato Sterling Hayden appunto.

I movimenti della macchina da presa, di lì in avanti, seguiranno le felici intuizioni iniziali e finiranno per usare sapientemente e con sobria eleganza il contrasto offerto dal bianco e nero, per giocare con le opportunità offerte dalle infinite tonalità della luce e per ultimare il film in gloria con una delle poche sequenze girate in esterno (giorno) che, sul piano del messaggio, non rivelerà allo spettatore il destino del nostro eroe (vivrà o morirà?).

La scena conclusiva è tutta un’apoteosi di natura, colta con un campo lungo, quasi lunghissimo, sembra voler porre l’accento sulla critica proposta dall’autore: conviene così tanto alla razza umana lasciare il mondo naturale per finire a condurre esistenze improbabili, condizionate dal malaffare e dalla politica di uomini (e donne) spregiudicati in habitat non naturali, d’asfalto appunto?

Le alternanze di luce e ombra, saggiamente dosate, servono a presentare con effetto i personaggi: memorabile il primo incontro con il freddo pianificatore di colpi a banche, nonché gioiellerie d’origine tedesca. Nella versione italiana c’e’ più di qualcuno che non fatica a riconoscervi i tratti del dottor Stranamore di Sellers - Kubrick.

Memorabili sono pure le figure del gobbo barista – animalista (che minaccia di violenza fisica l’avventore del locale che dice di odiare il gatto che mangia sul bancone del bar) e dell’avvocato, che abbandona volentieri la retta via per abbracciare - con una certa perizia e passione - il crimine, lasciandosi per giunta andare tra le braccia di avvenenti pin - up.

Di personaggi femminili, oltre al cameo dedicato a una Marylin Monroe lanciata al sicuro successo nel mondo dello star system, ricordiamo quello dell’amante non corrisposta Olga, che si dedica con abnegazione all’oggetto del suo amore, come Didone con Enea.

La trama è asciutta, ma tutt’altro che banale, considerate anche le non poche esplicite “universalizzazioni” su vita e natura umana che vengono qua e là seminate nel corso della narrazione.

L’unico punto debole, può forse essere individuato nel meccanismo di creazione della suspance che, a giudizio di chi scrive, sarebbe forse potuto avvenire con piglio più deciso e conturbante, alla Hitchcock per intenderci, contribuendo a polarizzare in maniera risoluta le tensioni legge – crimine, uomo – donna, natura – città, ecc., e finire forse per facilitare il transfer dello spettatore.

Comunque, e in conclusione, l’antropologia così rappresentata sulla scena, ben rappresentata dagli attori bene inseriti nei rispettivi personaggi, ci lasciano un lieve sapore di nostalgia per un mondo (Scomparso? Irrecuperabile?) in cui del politicamente corretto non si sentiva, ancora, questa grande esigenza.