Ci siamo, l'attesa è finita. Dopo tre libri e quattro film si chiude la saga degli "Hunger Games", con un finale che se i lettori del libro avevano chiaro in mente, gli spettatori dei film potevano ben immaginare.Partito malissimo negli USA, dove – nonostante i buoni incassi – ha registrato il punto più basso nella classifica degli esordi al Cinema rispetto alle puntate precedenti; "Hunger Games - Il canto della rivolta 2” conquista invece nel week-end il box office italiano, racimolando ben quattro milioni di euro.

Dove eravamo rimasti

Avevamo lasciato Katniss a smaltire i traumi di un conflitto che aveva impresso duri segni sulla sua psiche, con un Peeta stravolto dalle torture subite al punto da cercare si ucciderla e una rivolta che infiammava tutti i dodici distretti da gestire.Il film prosegue nel fedele adattamento dei romanzi, accompagnando lo spettatore verso la risoluzione in un inevitabile precipitare degli eventi che non risparmia nessuno e si fa sempre più serrato, inanellando precisamente cause ed effetti, a prezzo però di togliere qualsiasi tempo drammatico alla riflessione e al dolore.Gli intrecci politici raggiungono il culmine e spietata è la narrazione, che non si lascia trascinare da facili idealismi ma mostra tutte le storture del mondo reale, senza essere troppo truculento, in ossequio al pubblico da Young Adult che comprende moltissimi adolescenti.

Visivamente convincente ma sono gli attori a rimpolpare una sceneggiatura arida

I limiti si avvertono tutti anche in quest'ultimo capitolo della saga, che ha però il pregio di rendere più fluidi rispetto ai libri certi passaggi troppo asciutti o incomprensibili.Le scene di massa sono grandiose, da far percepire fino in fondo cosa significa essere parte di una folla non pensante eccitata dal più becero populismo. L’uso esasperato dei mass media, attraverso cui si decide un bel pezzo della sfida fra il Presidente Snow e la Presidentessa Coin, è costantemente sottolineato dall’onnipresenza di televisori accesi in ogni dove, manifesti propagandistici, video girati allo scopo di incitare la rivolta o la resistenza.

Non c’è più spazio per le vesti colorate di Capitol City o per gli stracci delle popolazioni affamate dei distretti più esterni ed è tutto un tripudio di nero e grigio scuro delle divise militari.

Se l’estetica del film è sempre vincente, non può dirsi lo stesso di una sceneggiatura prevedibile e troppo asciutta, che può salvare solo in parte una trama già compromessa nei libri.

Ed è così che sono gli attori a ritagliare per i loro personaggi uno spazio emozionale, sottraendoli al flusso troppo rapido di eventi che altrimenti non darebbero loro lo spazio di brillare e appassionare lo spettatore: su tutti spicca la bravura di Jennifer Lawrence ma soprattutto la splendida interpretazione di Donald Sutherland nei panni di un Presidente Snow impeccabilmente crudele anche nei momenti più difficili.

L’umanità di “Hunger Games”, un po’ persa nei tentativi costanti della Collins di riportare lettore e spettatore al più spietato e pedante realismo, si mitiga così grazie a un ottimo cast e un regista, che ha saputo adattare la storia fino all’ultima scena, spiegando anche ciò che i libri hanno lasciato sottinteso. Un capitolo finale buono che, pur non brillando sugli altri, conclude la storia in maniera pulita e un po’ malinconica.