Il caso Orlandi e la verità che non sta in cielo. Roberto Faenza torna dietro la macchina da presa per raccontare un mistero italiano, un caso irrisolto. Non è la storia di Emanuela Orlandi, ma la ricostruzione del mondo criminale e politico ed ecclesiastico che ruota attorno alla sua scomparsa, avvenuta il 22 giugno 1983. Un film ben documentato e lineare, quasi documentaristico. Il regista ben gestisce le varie informazioni, anche se in una costruzione forse troppo didascalica e monotona, pur trattandosi comunque di un film e quindi di finzione.

La verità sta in cielo, il titolo così contraddittorio e provocatorio, si rifà alle parole dette da Papa Francesco a Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. Il primo Pontefice che si è sbilanciato un po’ sulle “grida” disperate di una famiglia che da più di trent’anni cerca la verità. Eppure si sa, la verità non sta in cielo, così come i segreti e le colpe sono terrene. Il film è nelle sale cinematografiche dal 6 ottobre 2016, distribuito da 01Distribution.

La verità sta in cielo è un film al femminile. Una storia femminile, tre protagoniste femminili: Greta Scarano che interpreta Sabrina Minardi, amante in quegli anni del boss dei testaccini Renatino De Pedis (qui Riccardo Scamarcio); Valentina Lodovini è Raffaella, la giornalista che per prima ha fatto parlare la donna e che ha seguito le indagini sin da subito, ma alla fine con un filo di rassegnazione; Maya Sansa, invece, è Maria – unico personaggio di pura finzione tra le tre -, giornalista inglese ma di origini italiane inviata nel belpaese dal produttore del giornale per cui lavora per mandare avanti un’inchiesta sulla scomparsa della giovane cittadina vaticana.

Due delle protagoniste sono quindi giornaliste. Come se Faenza voglia riconoscere del merito alla stampa, a quella parte di stampa che nel corso degli anni non ha avuto paura. Ha scritto e parlato, e chiesto e cercato senza gettare la spugna. E riconosce che il coraggio delle donne e tutta un’altra cosa!

Se in genere, prima dell’uscita, si tratta del suo essere “una commedia all’italiana, in questo caso il regista di La verità sta in cielo fa pronunciare ad uno dei personaggi una breve frase molto incisiva e riflessiva: “De Pedis era un latitante all’italiana”.

Come se una certa criminalità sia riconosciuta come elemento distintivo italiano. Una criminalità troppo spesso conosciuta e impunita. Come per il caso Orlandi: molti sanno, pochi parlano e il legame tra Chiesa, politica e criminalità cresce, di anno in anno. Una tesi interessante, che Faenza lancia nel ripercorrere la storia della coppia Minardi/De Pedis, è che la scomparsa di Emanuela Orlandi va ad inserirsi in un quadro molto più grande chiamato Mafia Capitale.

Per La verità sta in cielo Faenza ha affermato di avere avuto delle pressioni, o meglio delle minacce, e che il film ha rischiato di essere sequestrato. Per paura? Di chi? Faenza non dice nulla di nuovo, non aggiunge tasselli, si limita a fare ciò che più gli piace: raccontare storie. In questo caso racconta una storia pesante, ingombrante. Una pagina della storia d’Italia ancora non del tutto completa e molto buia e contaminata di mine. Il film infatti non fornisce alcuna soluzione o rassicurazione, se non accendere un lume di speranza. La speranza che l’opinion pubblica venga scossa, in massa, e che porti alla riapertura del caso. E chi può dirlo… Forse anche all’ottenere le carte segretate in vaticano, lì dove potrebbe essere scritta e nascosta la verità terrena.