Dopo quello delle gif, quello subacqueo, quello delle relazioni andate male, degli ufo e dei gabinetti, sembrava davvero che al mondo esistesse un museo per ogni cosa. Invece no, all'appello ne mancava ancora uno fondamentale: quello dedicato ad una condizione in cui pochi di noi sono riusciti a non incappare almeno una volta nella vita, ovvero il fallimento.
Stupisce la paternità non italiana del progetto (ne avremmo avuto a pieno titolo tutti i requisiti), preceduta sul tempo dall'acume scandinavo, incarnato questa volta dallo psicologo Samuel West, ricercatore universitario e consulente aziendale, nonché appassionato collezionista di invenzioni inutili.
Dopo anni di scrupolosa attività, lo studioso è riuscito a mettere insieme un tesoretto di circa 60 pezzi, una piccola antologia dell'errore che alla memoria dell'umanità non può che giovare.
Il fallimento come un'opportunità
In una società che fa di un obiettivo mancato un punto di non ritorno, ricordare che il progresso non è un percorso lineare, ma fatto di disillusioni e ripensamenti, ha quasi il sapore di un gesto rivoluzionario. Scopo del suo ideatore, infatti, è quello di trasmettere il messaggio che anche l'errore ha una valenza etica, e che l'innovazione passa anche dalle cadute di stile, soprattutto grazie alla velocità con cui vengono dimenticate.
Insomma, un'esperienza di visita che non è solo un tour in un museo degli orrori, ma un vero e proprio percorso di apprendimento, capace di aiutare il pubblico a gestire il rifiuto.
Perché, in fondo, cos'è un'idea sfumata nel nulla di fronte ai fallimenti commerciali di mega brand come Apple o Coca Cola? La cifra vincente del piccolo museo di Helsingborg, città natale dello stesso West, è mettere sotto gli occhi di tutti soprattutto gli epic fails degli insospettabili, mostrando che il brivido del rischio lo provano anche le multinazionali a decine di zeri.
Dai Google Glass alle lasagne surgelate
Tra i cimeli presenti in mostra, quindi, si trovano oggetti inquietanti come la maschera per pelli mature Rejuvenique, capace di infondere piccole scariche elettriche al viso della malcapitata, l'acqua di colonia Harley-Davidson, probabilmente il marchio meno indicato per lanciare un profumo che non sia quello di un gas di scarico, o la penna per sole donne prodotta da BIC nel terzo millennio inoltrato.
Una sezione specifica è dedicata al fallimento in ambito tecnologico che, com'è prevedibile, si rivela pieno di sorprese, come ad esempio il Betamax, ovvero quello che la Sony ha tentato di rifilarci prima del videoregistratore, il Twitter Peek, un congegno a forma di calcolatrice adibito solo a produrre cinguettii, e il Nokia N-Gage, nato dall'infelice unione tra un cellulare e un Game Boy, per non parlare dei Google Glass, il vero fiore all'occhiello della collezione.
Per finire, come non sorridere di fronte alle lasagne surgelate al ragù di manzo targate Colgate, al ketchup verde, alle Pringles senza grassi o al Monopoly di Donald Trump? La crisi, insomma, come motivo di imbarazzo ma anche come mezzo di ravvedimento, per un museo che è un vero e proprio antidoto contro la paura di sbagliare: nella speranza, certo, che non si riveli anche questo un fallimento.