Come una provocazione. Nasce così "A disabilandia si tromba", il titolo del primo libro di marina cuollo, giovane biologa napoletana per studi, scrittrice e grafica per "scelta e mestiere". Un titolo forte, trasgressivo, ma ancora troppo difficile da pronunciare senza creare imbarazzo, che ha sostituito il primo più soft, ma meno efficace che si limitava a parlare di "etichette". Una scelta comunicativa che ha attirato la curiosità di tanti lettori ed è stata subito condivisa dalla casa editrice.

Marina Cuollo, una microdonna che sa essere dura e implacabile

Già dalla copertina si capisce. Marina è una tosta, irriverente, una che non le manda a dire; affronta il tema della disabilità in un modo nuovo, provocatorio. In chiave ironica strappa sorrisi, ma soprattutto riflessioni.

Lei, che si definisce una burlona, regala spunti di dibattito su un argomento ancora poco esplorato, snobbato da letteratura e cinematografia.

Tra le pagine del suo libro emergono temi importanti della vita di chiunque: famiglia, amicizia, rapporti umani e si parla anche di sessualità. Un argomento osceno, un tabù tra i normodotati, figurarsi tra i portatori di handicap. Ovvero tra coloro che, agli occhi dei più, sono bambini per sempre, figli in eterno, asessuati.

Quasi mai mogli, mariti, genitori. La prima a riderne è lei, venuta al mondo con la Melnick Needles, una sindrome genetica molto rara, che conta solo un centinaio di casi in tutto il mondo. Lei, un'osservatrice dura e implacabile che, dalla sua sedia a rotelle, vede e ascolta cose sulla disabilità impossibili da immaginare, dette forse per ignoranza o ipocrisia.

"Avevo bisogno di parlare di quello che vivo quotidianamente con leggerezza e mostrare l'altra faccia della medaglia - ha raccontato a Isernia, dove ha presentato il suo libro, invitata il 5 dicembre scorso dall'associazione culturale "Promozione Donna".

A moderare i lavori la prof.ssa Leda Ruggiero. "Il fulcro principale del mio libro è la disabilità - ha spiegato l'autrice - ma è anche l'etichetta che viene appiccicata sopra al concetto di disabilità.

Etichette e pregiudizi vengono affibbiati non solo alla disabilità, ma anche ad altre situazioni umane. La disabilità, quella fisica, è una cosa che mi appartiene e che conosco e quindi questo tipo di etichetta l'ho vissuta e ne ho potuto parlare". "La diversità spaventa o, comunque, si diffida da essa. Ogni volta che si diffida di qualcosa o qualcosa spaventa si usano delle scorciatoie cognitive - ha chiarito la relatrice Giulia Capone, psicologa e psicoterapeuta - è un atteggiamento che punta a ridurre le distanze e appiattire le differenze. Si cerca qualcosa che possa somigliare. L'etichetta a volte serve a questo, ma è pur sempre una scorciatoia e in quanto tale può portare a conclusioni errate".

Problemi della vita di un diversamente abile

Il libro è diviso in due parti: la prima in cui vengono scherzosamente stilate delle categorie di disabili e di normodotati. Ci sono deambulanti e cingolati, attenti e giudicanti, politically correct e coatti imperituri. L'altra affronta, con la consapevolezza di chi li vive, i problemi che quotidianamente il diversamente abile si trova ad affrontare.

"Decidere di suddividere le persone in queste categorie, proprio in un libro che parla di etichette, è un modo per esorcizzarle - ha commentato Marina - rimarcare il tono per riderci sopra, alleggerire la problematica e annullarla. Parlare di qualcosa di brutto aiuta a liberarsi dagli stereotipi e dalle ipocrisie.

Una volta che una persona riesce a essere autoironica - ha detto - ha la capacità di essere più empatica anche con chi non conosce, non ne rimane spaventata, non fa la mossa sbagliata perché ridere di se stessa sfonda già un muro, sapere di essere imperfetto e ridere dei propri punti di debolezza è un'arma vincente".