Dagli albori della civiltà, la poesia guida e accompagna la vita dell'uomo. Ma secondo il poeta e psicoanalista, Cesare Viviani, oggi stiamo assistendo al suo declino. Una triste fine causata dalla degenerazione dei valori, dalla perdita d'interesse nei confronti della lettura, dalla richiesta di conformarsi al gusto comune, spesso mediocre. Nel saggio di 76 pagine ''La poesia è finita. Diamoci pace. A meno che...'' (pubblicato qualche giorno fa dall'editore Il melangolo), Viviani espone la teoria secondo cui il solo modo per garantire la sopravvivenza di questo genere è conservarne il carattere elitario, per cui gli scrittori dovrebbero rinunciare a seguire ciò che sarebbe invece conveniente secondo la società odierna, come l'autopromozione.

Infatti afferma: ''Aspirare ad un numero elevato di lettori è un errore. (...) L'impronta della poesia è una particolare intensità, esperienza desiderata solo da un numero esiguo di lettori''.

Vi è quindi il bisogno di distanza, silenzio, di ammirazione e celebrazione della vastissima quantità di opere di grandi autori di cui il mondo dispone. In quanto, come credevano anche i Neoclassici, una rinascita dell'arte della scrittura è possibile soltanto attraverso l'emulazione e la conoscenza dei più grandi, necessari per imparare.

Una visione estrema ed originale

Si tratta di una visione estremamente originale e radicale, che sicuramente troverà dei contrasti di pensiero, soprattutto da parte di autori contemporanei.

Oppure, mirando indietro ai tempi del lontano Romanticismo, si può constatare il rifiuto del carattere elitario della poesia accademica e neoclassica, per un elogio alla spontaneità, alle nuove forme e alle nuove tematiche toccate da questa corrente ottocentesca.

Viviani, però, poggia le sue basi sulla credenza in una poesia che riesca ad andare oltre i limiti dell'indicibile, quasi come affermava l'illustre Giuseppe Ungaretti, ritenendo che le parole dovessero essere illuminazione, luce che sveli e illustri la vera essenza della vita, con un valore quasi religioso e un poeta che sia un essere privilegiato, un ''sacerdote'' capace di cogliere i nessi segreti delle cose.

Ma la poesia sarà morta davvero? Ciò che è sicuro, secondo lo psicoanalista, è la necessità di abbandonare tutto ciò che è di poca valenza, futile, come le chiacchiere, la convenienza o il narcisismo, per perseguire i veri valori dai quali la poesia può attingere nuova linfa.