Giovedì 5 novembre 2020, alle prime luci dell'alba, è apparso in piazza del Plebiscito a Napoli un bambino nudo, rannicchiato in posizione fetale, ancorato al suolo con una pesante catena simbolo del destino che gli è stato assegnato. L'installazione porta la firma di Jago, promettente artista che ha ottenuto numerosi riconoscimenti per la sua Arte sia in Italia che all'estero.

Cosa è successo?

Jago, al secolo Jacopo Cardillo imprenditore e artista di Frosinone, ha "abbandonato" con l'ausilio della Fondazione San Gennaro un'opera da un milione di euro in piazza del Plebiscito a Napoli.

L'artista ha donato la sua creazione alla città, come già successo in passato, posizionandola strategicamente nell'iconica piazza con l'intento di suscitare un boato mediatico per dare voce al sentimento del popolo partenopeo ormai ridotto alla fame perché costretto, nel migliore dei casi, a chiudere le proprie attività schiacciate dai costi fissi che sono da sempre la spada di Damocle che pende sul collo dei piccoli imprenditori dall'inizio di questo periodo storico a dir poco particolare.

Il legame con Napoli

Artista sensibile e molto attivo sui social, Jago, ha stretto da tempo un legame speciale con la città di Napoli. Già in precedenza l'artista l'ha omaggiata con la sua "Figlio velato", realizzata a New York ma ad oggi in esposizione permanente nella chiesa di San Severo, fuori alle mura della Sanità.

La scelta del rione Sanità non è per niente dettata dal caso. Da oltre un anno l'artista si era trasferito a New York fino alla prima ondata pandemica, una volta rientrato in patria ha eletto Napoli e il rione Sanità come il suo "domicilio di studio e di vita". Il suo legame con il rione è diventato più solido dopo la donazione del suo capolavoro in onore del Cristo velato alla chiesa di San Severo e la sua successiva collaborazione, ancora in essere, con padre Antonio Loffredo che gli ha aperto le porte di un'antica chiesa del borgo Vergini.

#lookdown: i poveri in piazza

Il titolo dell'opera è emblematico e provocatorio: #lookdown, ovvero "guarda in basso", è un monito a rivolgere lo sguardo agli ultimi, schiacciati dal peso insostenibile della crisi sociale generata dalla pandemia. Sfruttando l'assonanza con l'espressione che ci è più che familiare "lockdown", Jago presta a Partenope una protesta in marmo bianco difficile da ignorare soprattutto da chi di dovere.

Lo stesso Jago ha esplicato il significato intrinseco e intuitivo della sua opera con una provocazione: "Andatelo a chiedere a tutti quelli che, in questo momento, sono stati lasciati incatenati alla loro condizione". Il gioco di parole del titolo invita a guardare in basso, a quella fetta della società abbandonata a se stessa che urla disperatamente da mesi senza essere ascoltata. I più fragili, invisibili agli occhi dello stato, non lo sono mai stati agli occhi di Jago che ha voluto rappresentarli e dargli l'attenzione che meritano nel modo in cui sa farlo meglio.

Nessun altro artista ha mai sposato questa causa dall'inizio della pandemia; diversamente Jago, utilizzando l'arte come canale diretto e come linguaggio universale capace di fare rumore dove il silenzio assordante aveva cancellato tutte le speranze, come un cecchino ha sparato al cuore dell'opinione pubblica.

La macchia di purezza che sfida lo sguardo dei passanti

Homeless, bambino di marmo bianco dagli occhi tristi, rappresenta gli ultimi rannicchiati in posizione fetale in attesa di un aiuto, legati da catene spesse come i problemi tipici di questi impalpabili tempi e pesanti come la paura di una povertà diffusa soprattutto fra i più fragili.

Jago, con la bellezza cruda dei suoi personaggi, dà voce a chi è diventato afono a furia di urlare le condizioni precarie in cui verte dall'inizio di questa guerra silente contro un nemico invisibile.