A meno di non essere degli alieni o di aver passato gli ultimi anni in eremitaggio, lontani dalle continue novità tecnologiche dell'era digitale, la parola Tinder vi suonerà se non familiare, quantomeno nota. Pioniera delle cosiddette "Swiping apps", ovvero di quelle app dove l'interfaccia permette l'esecuzione delle funzioni con una semplice strisciata (Swipe) del dito sullo schermo, Tinder ha portato il dating online al passo con i ritmi ultra frenetici del mondo post contemporaneo. Poche informazioni strettamente necessarie, foto direttamente importate dal profilo Facebook e si è pronti a scorrere la pletora di utenti iscritti all'interno della distanza massima scelta, alla ricerca di un match, di una compatibilità che possa dare inizio a un dialogo: la piccola grande rivoluzione lanciata da Tinder fu proprio quella infatti di rendere la finestra di chat un momento secondario, conseguente ad un "Like" reciproco tra i due utenti, segno esplicito ed esplicitato di un interesse da concretizzare successivamente in base alle personali intenzioni dei soggetti coinvolti.

Tinder: istruzioni per l'uso

Utilizzabile tanto come uno strumento per conoscere persone nuove in una città a noi straniera, sempre filtrate tuttavia attraverso un reciproco superficiale apprezzamento, quanto come una mezzo per arrivare al divertimento di una notte, è fuor di dubbio che Tinder abbia contribuito attivamente ad accentuare sensibilmente quello che è già un paradigma di costruzione di relazioni che incarnano pienamente lo stile di vita consumistico tipico della società capitalista nella quale ci troviamo oggi a vivere. Il potenziale partner è un prodotto, una merce esposta insieme ad altra merce, rapidamente selezionabile e altrettanto rapidamente sostituibile dopo un consumo per la maggior parte delle volte fugace ed effimero; specie nelle grandi città, dotate di un'utenza decisamente ampia ed eterogenea, il continuo scambio di reciproci like lascerà difficilmente gli utenti più smaliziati privi di opportunità di consumo.

L'utente di Tinder come un Don Giovanni digitale

L'utente medio di Tinder assume i connotati di una versione contemporanea, social si potrebbe dire, del Don Giovanni preso dal filosofo danese Søren Kierkegaard come figura archetipica della vita estetica, primo momento della sua riflessione intorno agli stadi della vita umana.

Per farla breve il Don Giovanni è un uomo di spirito, brillante, intelligente, un conquistatore edonista che ammalia le donne col suo fascino per godere del piacere della conquista, la quale però si rivela più un assoggettamento psicologico che necessariamente carnale: ciò che il Don Giovanni desidera è il desiderio dell'altro, che diventa dunque oggetto spersonalizzato avente come unico fine il momentaneo appagamento egoistico, rimpiazzato istantaneamente da un nuovo desiderio di conquista.

Nelle vicende descritte da Kierkegaard nella sua opera "Diario del seduttore" si assiste a come Johannes, appunto un giovane Don Giovanni, si lanci nello spasmodico tentativo di conquistare Cordelia, ingenua ragazza diciassettenne da lui bramata: Johannes vittima del suo stesso desiderio, finisce sempre per innamorarsi delle donne oggetto del suo desiderio, per poi abbandonarle dopo averle consumate, in preda alla noia e alla disperazione tipiche di una pulsione che non si fa mai compimento, ma rinnova sempre se stessa mutando l'oggetto del desiderio. Nonostante le premesse, Cordelia non fa eccezione, e una volta conquistata la ragazza, il circolo vizioso riprende dal principio, rendendo Johannes una vittima di se stesso.

Chi permane nella ripetizione della vita estetica è destinato allora all'insoddisfazione visto il carattere transitorio dell'appagamento, legato di fatto non soltanto alla predisposizione caratteriale del singolo essere umano, quanto a una connotazione paradossale del desiderio umano stesso.

Lo sviluppo di Tinder e altre app similari non hanno insomma creato una nuova dinamica, ma hanno piuttosto esasperato una caratteristica fondante del desiderare umano, specie nelle relazioni interpersonali, ovvero quella di desiderare non semplicemente il possesso dell'altro, quanto piuttosto il suo proprio desiderio; noi desideriamo essere desiderati, appropriarci di questo desiderio che nel momento in cui viene consumato ci lascia insoddisfatti come conseguenza della distruzione di quella tensione che ci rende l'altro desiderabile, in quanto non posseduto.

L'esasperazione digitale di questo concetto porta dunque ad un consumismo relazionale, spesso sessuale, dove la ricerca del partner si trasforma piuttosto in un accumulo seriale di esperienze fini a se stesse incapaci di generare una soddisfazione duratura.

Il desiderio come paradosso

L'uomo si ritrova dunque intrappolato in una situazione singolare e contraddittoria, all'interno della quale il raggiungimento della soddisfazione sembra essere incompatibile con l'appagamento del desiderio, almeno nella sua declinazione consumistica: siamo in un certo senso condannati a desiderare. Lo psicologo Massimo Recalcati sulla scia del pensiero di Jacques Lacan (psicanalista e filosofo tra i più rilevanti del ventesimo secolo) denomina questo tipo di desiderio ‘Il desiderio di niente’ e lo associa a una forma di isteria che porta al rifiuto dell'oggetto desiderato proprio perchè il possesso va a distruggere quella sensazione di mancanza di cui è fatta l'esistenza, che si pone come motore del desiderio stesso: proprio per questo secondo Lacan il bambino piccolo desidera la luna, oggetto lontano e irraggiungibile che dal mondo si vede ma è allo stesso tempo fuori dal mondo e non può essere consumato, tenendo vivo il desiderio.

Recalcati afferma, nella sua opera ‘Ritratti del desiderio’ che «Il desiderio come desiderio di niente sembra invece sganciarsi da ogni relazione con l’Altro. Non è più desiderio dell’Altro, non è più in relazione con l’Altro, ma è desiderio che consuma se stesso, desiderio, dunque, di nessun oggetto, desiderio di niente appunto». Il sistema capitalistico esalta questa dinamica generando continuamente oggetti di consumo desiderabili e raggiungibili, che placano la sete d'acquisto prima di rivolgerla ad altri beni più aggiornati, performanti o alla moda, inevitabilmente più attraenti dell'oggetto già ottenuto. Se l'analogia con Tinder è dunque evidente, l'aspetto più inquietante della questione è la riduzione delle persone a oggetti, numeri, esperienze prive di consistenza dalle quali difficilmente può scaturire una relazione duratura.

La società contemporanea sembra dopotutto assumere connotati sempre più tendenti al narcisismo e all'egocentrismo con la propensione a relazioni 'Liquide', come già teorizzato dal celebre sociologo tedesco Zygmunt Baumann, guidate da emozioni passeggere e prive di responsabilità; terminato l'appagamento del desiderio basta rimuovere la compatibilità, cancellare un numero, 'Disconnettersi' dalla dimensione social e rivolgere la propria pulsione ad un altro oggetto, sfuggendo alle responsabilità richieste dalla costruzione di un rapporto.

Ridefinire l'altro, mantenere il desiderio

Quale possibile alternativa per riscrivere le dinamiche di questo modo inconcludente di vivere il desiderio? Non dare seguito al desiderio dell'altro genererebbe una situazione altrettanto paradossale dove la felicità sarebbe legata alla fantasia di un futuro da non realizzare, ad un presente da non realizzare.

Italo Calvino descrive una situazione simile nel suo capolavoro "Le città invisibili": gli abitanti della città di Cloe vivono immaginando le loro interazioni, si desiderano vicendevolmente ma non si salutano, non comunicano, non si conoscono; il loro desiderio si sfoga negli sguardi silenziosi, che generano fantasie che non saranno realizzate, rimanendo desideri. Dopotutto afferma Calvino: «Se gli uomini e le donne cominciassero a vivere i loro effimeri sogni, ogni fantasma diventerebbe una persona con cui cominciare una storia d'inseguimenti, di finzioni, di malintesi, d'urti, di oppressioni, e la giostra delle fantasie si fermerebbe». Concretizzare un desiderio significherebbe dunque complicare ciò che nella dimensione del possibile ci consegna alla possibilità della felicità, senza che esso venga esaurito dal godimento o ancora peggio dalle dinamiche interpersonali tanto temute dagli amanti liquidi.

Secondo Lacan allora il rapporto con l'altro va ripensato in un'ottica di riconoscimento che sfugga alla riduzione consumistica dell'altro a oggetto. Nell'altro non bisogna vedere un bene di consumo, ma una pura singolarità, un evento. Il linguaggio e i concetti di Lacan possono apparire oscuri, ma il senso del discorso risiede nella ridefinizione del desiderio fuori da una dimensione 'Autistica' che riduce l'incontro con l'altro a mero godimento egoistico. Bisogna rifuggire dall'edonismo e dalla continua rigenerazione della mancanza come motore del desiderio di niente, in favore della costruzione di un rapporto con l'altro che vada oltre il momento iniziale di novità e appagamento. Il desiderio deve dunque rinunciare a quella che Lacan chiama 'Natura metonimica' ovvero la già citata tendenza a spostare altrove la soddisfazione in nome della pulsione isterica direzionata verso il godimento e il consumo.

L'amore è dunque secondo lo psicanalista francese ciò che mantiene convergenti desiderio e godimento, senza esaurire la tendenza nell'egocentrismo sfrenato tipico del nostro tempo; l'altro inteso come oggetto dell'amore è sempre un qualcosa da raggiungere, a cui anelare. Gli amanti tendono sempre l'uno verso l'altro, senza però esaurire il desiderio nell'incontro intimo, rinnovando la propria tendenza e mantenendo intatta una distanza che permetta un continuo ri-conoscimento.