Si avvicina il terzo giorno del terzo mese dell’anno. E, se per la maggior parte di noi il 3 marzo rimane una data come un’altra, priva di qualsiasi significato particolare, nella cultura giapponese essa riveste un’importanza singolare, almeno per le bambine e per le loro mamme, che si preparano a festeggiare l’Hina Matsuri, ovvero la festa delle bambole. In Giappone, la comune bambola non è un oggetto poi tanto comune come da noi, ma ha un valore solenne, quasi sacro. A partire dal nome, che si traduce con un sostantivo composto da due ideogrammi: “nin”, persona e “gyo” forma.
Ningyo, dunque, sta per “forma umana”, ma non si riferisce solo alla parvenza anatomica. Suggerisce anche l’idea, avvalorata dal credo scintoista, che quella sagoma sia dotata di un’anima, un fiato di vita profuso dalla mano che l’ha realizzata, rendendola quasi umana, anzi capace addirittura di patrocinare l’infanzia, garantendo protezione e sostegno a chi se ne prende cura.
La festa delle bambole e delle bambine
L’Hina Matsuri è una giornata gioiosa, ma anche un’occasione per dedicarsi alla preghiera, dal momento che le bambole sono considerate protettrici delle bambine, di buon auspicio dunque per la crescita sana e felice di chi che le espone. E l’esposizione è proprio il momento più atteso e significativo, un po’ ciò che per noi rappresenta l’allestimento del presepe, a Natale.
Avviene a casa propria. Le bambole vengono sistemate secondo uno schema gerarchico di cinque piani, su cui vengono disposte, in ordine di importanza, dalle bamboline imperiali, a quelle più comuni, meno nobili. Il tutto viene corredato da suggestive lanternine di carta colorata e candelieri luccicanti su un tappeto rosso chiamato Mousen.
La festa ha un duplice significato: allontanare gli spiriti malvagi e celebrare esorcizzandolo il passaggio che conduce la bambina alla fase in cui sta per diventare donna. Senz’altro più sensato e benaugurate il primo. Tuttavia, per funzionare, le leggende devono essere ispirate ad origini oscure e misteriose. E il caso, per esempio, di Okiku.
Okiku, la bambola posseduta
Nel 1918, Eikichi Suzuki, appena diciassettenne, passando davanti ad un negozio di giocattoli, a Sapporo, rimase colpito da una bambola e decise di acquistarla per la sorellina, Okiku. La bimba gradì molto il regalo, tanto da non staccarsene neanche di notte. Sfortunatamente, un anno dopo, si ammalò di polmonite e, nonostante le cure, poco dopo morì. I genitori decisero di seppellire con lei la bambola a cui era stata tanto legata durante la sua breve vita, ma, nella concitazione dei riti funebri, se ne dimenticarono. Così pensarono di adagiarla sull’altare allestito in onore della loro bambina e la lasciarono lì. Ma si accorsero che, sorprendentemente, ogni volta che la osservavano, i suoi capelli diventavano sempre più lunghi, come fossero “vivi”.
Quando, nel 1938, Eikichi partì per il servizio militare, affidò la bambola ad un monaco del Tempio di Hokkaido. Al suo rientro, si recò al Tempio per riprenderla ma si rese conto con stupore che i capelli della bambola non avevano smesso di crescere, tanto da costringere i monaci ad accorciarli di tanto in tanto. Decise dunque di donarla al Tempio, perché potesse essere esposta al pubblico, come un’icona sacra.
E lì è rimasta, a disposizione di chi volesse ammirarla, per tanto tempo. Oggi non è più possibile vederla, ma si dice che i capelli crescano ancora, che vengano accorciati ogni mese e che in essa abiti lo spirito della bambina da cui ha preso non solo il nome, ma anche la vita.