I problemi degli agricoltori d’oltreoceano, impegnati nella semina delle praterie, era rappresentato dall’attacco predatorio dei topi, in particolare una specie nativa americana detta “deer mice” o “topi-cervo” (Peromyscus maniculatus). Questi depredavano i semi depositati nel terreno compromettendone in parte la ricrescita della prateria. Dopo 4 anni di ricerche e di prove, finalmente i ricercatori americani hanno trovato la soluzione: mischiando i semi alla polvere di capsaicina, la sostanza piccante del peperoncino, i topi che non gradiscono il piccante, lasciano al loro posto i semi per la soddisfazione degli agricoltori.
E degli amanti della natura.
Salvato fino all’86% della semina
Stava diventando un grosso problema per gli agricoltori. Dopo la semina entravano in gioco i topi, in particolare i “deer mice” o «topi-cervo», appellativo che si riferisce alle piccole dimensioni di una specie di roditori nativa americana, molto vorace dei semi dispersi nei campi. Con il risultato di ridurre significativamente la crescita delle nuove piantine e quindi il raccolto di fine stagione.
Ricorrere a sostanze “topicide” voleva dire distribuire sul terreno, e quindi nell’ambiente, sostanze tossiche che poi, seguendo la filiera alimentare, finirebbe anche nel piatto dei consumatori. Un team di ricercatori, guidati da Dean E.
Pearson, University of Montana (Missoula, MT, USA), sono partiti dall’osservazione che i topi non gradiscono il piccante. Così se un seme è impregnato di sostanze piccanti, non lo mangiano.
Hanno iniziato così un progetto di ricerca. Inizialmente i risultati non sono stati incoraggianti in quanto la capsaicina (Capsicum spp.), la sostanza piccante del peperoncino, miscelata in polvere con i semi, non permaneva a lungo nel terreno.
E così i roditori differivano il loro pasto ma continuavano quindi a distruggere le semine.
Dopo 4 anni di esperimenti in laboratorio e nelle praterie delle valli Missoula del Montana, i ricercatori hanno trovato la ricetta efficace. Hanno usato la polvere del Bhut Jolokia, spezie indiana, una delle varietà più piccanti di peperoncino tale da guadagnarsi diversi nomignoli come peperoncino fantasma (ghost pepper), peperoncino serpente, peperoncino velenoso o peperoncino cobra e, nel 2007, anche il Guinness World Records come il peperoncino più piccante al mondo.
Nella scala Scoville, una scala di misura della piccantezza di un peperoncino, il Tabasco è 2.500; il Bhut Jolokia è 1.041.427 mentre l’attuale Guinness World Records è detenuto da Carolina Reaper con 2.200.000. La capsaicina pura raggiunge i 15-16 milioni. I ricercatori americani miscelando quindi i semi con la polvere del ghost pepper, sono riusciti finalmente a far desistere i topi dal loro pranzetto. Il risultato è stato un successo quasi completo, con l’86% del raccolto salvato.
Un approccio moderno
I risultati di questa ricerca, pubblicati su Restoration Ecology, e richiamato in questi giorni in un articolo su Science da Elizabeth Gamillo, sono un utile insegnamento per tutti coloro che pensano di affrontare i problemi della natura con sostanze aggressive e pericolose per l’ambiente.
Quando invece è la stessa natura ad offrire agli scienziati, e quindi a tutti noi, delle soluzioni altrettanto efficace ma bio- ed eco-compatibili.
A pensarci bene, lo stesso peperoncino si sarà evoluto producendo capsaicina, un alcaloide che probabilmente aveva come fine ultimo un’azione di difesa, scoraggiando l’attacco da parte di animali divoratori di questi frutti. Altre piante hanno sviluppato le spine, per infilzare gli insetti e allontanare gli erbivori, altre producono una elevata quantità di tannini, rendendo di fatto amare e indigeste foglie e corteccia. Oppure producono dei veleni veri e propri. Per arrivare al pino balsamico americano che produce un ormone il quale impedisce che i suoi predatori si possano riprodurre. Limitando così l’aggressione solo ad una fase iniziale.