Stefano Rodotà è stato un illuminante giurista italiano, con sguardo sempre attento è intervenuto nel dibattito sulla rivoluzione tecnologica e questo testo, La rivoluzione della dignità, ne è in parte un esempio. Il saggio, pubblicato nel 2013 dalla casa editrice napoletana La scuola di Pitagora, è tratto dalla lectio doctoralis che l’autore tenne all’Università di Macerata per la laurea honoris causa in Scienza della politica nel 2010.

Il diritto crea il cittadino

Il diritto è il fil rouge che tiene insieme queste 37 pagine ricche di riferimenti filosofici e giuridici interculturali.

Una prima importante questione da tenere a mente è che l’individuo è composto da due figure «l’uomo e il cittadino: per la prima si può parlare di una “qualità”; per l’altra, di uno “statuto”». Dunque il diritto costruisce la figura sociale del cittadino e solo la legge può definire il suo perimetro d’azione. Tuttavia il prevalere di un individualismo proprietario ha creato una rottura tra libertà ed uguaglianza. Quest’attenzione alla figura del cittadino è tornata in auge in tempi recenti «coniando per ciò addirittura un termine nuovo - égaliberté» (ugualibertà, Balibar, 1993).

Secondo Rodotà, il compito di ricucire lo strappo tra uguaglianza e libertà è affidato al principio di dignità.

Il cammino della dignità

Questo richiamo alla dignità, figlio del Novecento tragico, segna un tempo nuovo e trova spazio in tre documenti fondamentali:

il primo riguarda la Costituzione italiana – approvata nel 1947 – che negli art. 3, 36, 41 ne fa esplicito riferimento, e anche «lo richiama in particolare nell’articolo 32»; nel 1948, invece, entra in vigore la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo il cui primo articolo recita «tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti.

Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza»; infine, nel 2000, viene approvata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che si apre proprio con il “CAPO I DIGNITÀ” il cui art. 1 recita: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».

Inoltre il concetto di dignità è strettamente legato a quello di lavoro e difatti questi due principi appaiono inscindibili sia nell’art. 3 sia nell’art. 36 della nostra Costituzione. Insomma abbiamo di fronte a noi «il lavoratore come figura che dà diretta concretezza all’homo dignus». Questi principi democratici occidentali sono in realtà negati «da una logica di mercato che, in nome della produttività e degli imperativi della globalizzazione, prosciuga i diritti e ci fa ritornare verso quella “gestione industriale degli uomini” che è stato il tratto angosciante dei totalitarismi del Novecento». Senza mezzi termini Rodotà afferma che le persone sono nuovamente ridotte ad oggetti da utilizzare in base alle esigenze della produzione.

Con il digitale, poi, si entra nella dimensione del post-umano e l’uomo può ancora essere dignus? Ancora una volta, dal punto di vista legislativo, la dignità di quest’uomo nuovo, dotato non solo di un corpo fisico ma anche di un “corpo elettronico”, è tutelata dall’art. 2 del Codice per la protezione dei dati personali, ma non di rado la figura del consumatore si trasforma in consumato in balìa della tecnologia dell’algoritmo e dell’autonomic computing.

Appare chiaro, pertanto, che questo testo delinea in maniera impeccabile il cammino del diritto alla dignità a partire dall’homo hierarchicus a quello numericus. Il lettore sarà agevolato nella lettura dagli esempi e dai riferimenti bibliografici che accompagnano tutte le pagine ed entrerà maggiormente in contatto con i concetti se vive in prima persona una vita precariamente liquida.